
Ambera con il suo legale, Giovanni Chiarini, ieri nell’aula della Corte di Appello di Ancona durante il processo
E’ uscita dall’aula dopo essersi asciugata velocemente gli occhi dalle lacrime, uno sguardo ai giornalisti e nessun commento. Ieri mattina, in Corte di appello ad Ancona è stata confermata la condanna della 29enne Ambera Saliji a cinque anni di reclusione per concorso anomalo nell’omicidio di Ismaele Lulli. Il ragazzo era stato ucciso a 17 anni il 19 luglio di 10 anni fa a Sant’Angelo in Vado da Igli Meta, fidanzato dell’epoca di Ambera, e da Marjo Mema (condannati in via definitiva all’ergastolo): i due avevano condotto Ismaele in un bosco e, dopo averlo legato a una croce e torturato, lo uccisero.
Ambera venne indagata in un secondo momento e poi condannata dal tribunale di Urbino per aver inviato a Ismaele un messaggio che poi si era rivelato una trappola mortale. Gli dava appuntamento a una fermata dell’autobus fuori dal paese di fatto, però, consegnandolo in quel modo nelle mani dei propri assassini. Secondo il giudice la ragazza sapeva cosa sarebbe potuto succedere e, consapevolmente, avrebbe accettato il rischio. La sentenza è arrivata dopo circa due ore di camera di consiglio.
Ambera, che ora lavora a Pesaro in uno studio dentistico, ha ascoltato la lettura del dispositivo in piedi di fianco al proprio avvocato, con le mani appoggiate davanti a sé. All’uscita dei giudici l’emozione ha preso il sopravvento, compostamente. Il suo legale Giovanni Chiarini l’ha abbracciata per alcuni minuti dopo un breve scambio di battute.
"Non era quello che ci aspettavamo – è l’amara considerazione dell’avvocato difensore -, ci riserviamo di leggere le motivazioni e poi decideremo il da farsi. Restiamo del parere che questa sia una condanna ingiusta. Ambera, suo malgrado, si è trovata in un gioco molto più grande di lei. Vivrà questa situazione come meglio le riuscirà di fare e vedremo come finirà".
"Non mi interessa tanto la pena – è il commento dell’avvocato Marco Martines, che assiste Debora Lulli, mamma di Ismaele, costituita parte civile -, quanto piuttosto che sia confermato un principio di umanità e di etica prima ancora che di diritto e cioè che quando scegliamo qualcosa ci dobbiamo sempre far carico del fatto che ciò che scegliamo di fare potrebbe danneggiare qualcuno, vicino o lontano che sia. Sono orgoglioso che questo principio etico abbia trovato cittadinanza nel diritto".
"Bene così – ha sottolineato Debora Lulli fuori dall’aula - almeno questo, dopo tanti anni. Va bene così per oggi. Ma sono ferite che non si potranno mai rimarginare. Chi è mamma come me capisce cosa sto dicendo. Questa sentenza è una parziale consolazione, meglio di niente".