"E’ malato, nessuno si prende cura di lui, non gli danno neanche le medicine. Non può sopravvivere nelle carceri messicane". L’allarme giunge da oltreoceano. Dal Messico, dove qualche giorno fa si è conclusa la latitanza di Mauro Ragnetti, pesarese, 61 anni, arrestato a Puerto Escondido dove aveva riparato da qualche anno probabilmente anche per sfuggire alle manette. Ma la giustizia, alla fine, ha presentato il conto.
Ragnetti sta scontando una pena di 4 anni e 4 mesi per un cumulo di reati che vanno dalle lesioni personali alla violazione di domicilio, fino al sequestro di persona e rapina aggravata. Si trova da ieri mattina nella prigione di Tapachula (tecnicamente, nel Cerss 03, Centro statale per il reinserimento sociale dei condannati), nell’estremo sud del paese, al confine con il Guatemala. Una città nella regione del Chapas nota perlopiù per l’alto tasso di criminalità e lo spaccio incontrollato di droga. Insomma, non esattamente la città da cui ci si aspettano condizioni di detenzione ottimali.
E infatti proprio per questo ieri mattina è giunta dal Messico il messaggio disperato di Silvia Martinez Leyva, amica o forse compagna di Ragnetti, che si è messa in contatto con un vecchio amico d’infanzia pesarese, affinché l’aiutasse a sensibilizzare l’opinione pubblica e le autorità a prendere in carico il caso del suo Mauro. "Io e Mauro ci conosciamo da quando eravamo ragazzi – racconta Claudio Tornati, 56 anni, figlio dell’ex sindaco Giorgio –: una nostra passione comune era il rugby. Ma poi mi sono trasferito all’estero dove ho vissuto per vent’anni e ci siamo persi di vista. Anche lui per altro viaggiava molto, però ogni tanto ci mandavamo qualche messaggio".
Claudio non sapeva dei suoi problemi con la giustizia: "Ho saputo dagli articoli di giornale – dice – ma comunque sui social lo vedevo spesso, era molto attivo. Ha anche pubblicato dei libri. Insomma, non si nascondeva". Ieri mattina la telefonata di questa donna. "Mi ha scritto vari messaggi contattandomi sui social – dice –. Mi ha detto che Mauro era stato trasferito da Puerto Escondido in un’altra struttura detentiva, a Tapachula, dove è completamente abbandonato a se stesso malgrado abbia bisogno di cure".
Tornati non sa esattamente quale patologia lo affligga "ma ricordo che da giovane aveva avuto problemi di cuore – dice – e ogni tanto, nei messaggi che mi mandava, mi diceva di avere avuto problemi di salute e altri problemi nell’ottenimento dei documenti".
Poi sono arrivate le manette. "Silvia mi ha detto che stamattina (ieri, ndr) sarebbe andata in carcere a portare le medicine di cui non può fare a meno ma che nessuno gli fornisce. E mi ha chiesto di aiutarla a riportare Ragnetti in Italia, perché là non può sopravvivere". In realtà le procedure per l’estradizione sarebbero già state attivate dall’Italia, ma evidentemente il timore di Ragnetti è di non avere abbastanza tempo per attendere l’esito del procedimento. Soprattutto se resterà in quel carcere.