Pesaro, bambino morto per l'otite. La madre: "Non mi do pace"

Le cure con l’omeopatia, lo strazio della donna (condannata). Iniziato il processo al medico

Pesaro, la mamma del bambino morto per l'otite. Nel riquadro Francesco

Pesaro, la mamma del bambino morto per l'otite. Nel riquadro Francesco

Pesaro, 25 settembre 2019 - Il piccolo Francesco Bonifazi, di Cagli (Pesaro), aveva appena 7 anni nel 2017. Morì il 27 maggio per una otite curata in casa che degenerò poi in una encefalite perché affrontata con i rimedi omeopatici. Ieri, in tribunale ad Ancona, è iniziato il processo nei confronti di Massimiliano Mecozzi, il medico omeopata 57enne di Pesaro imputato di omicidio colposo per la morte del piccolo, deceduto dopo essere giunto all’ospedale pediatrico Salesi, nel capoluogo dorico. L’accusa nei confronti dell’imputato è di cooperazione colposa in omicidio assieme ai genitori del bimbo, già condannati, a giugno, a tre mesi di carcere per aver in sostanza ‘avallato’ l’operato del medico che non prescrisse la terapia antibiotica di prassi, e ora in attesa del processo d’appello.

L'aggiornamento Bimbo morto per l'otite, la sentenza: omeopata condannato a 3 anni

Il processo a Mecozzi è stato aggiornato al 14 gennaio 2020. Nell’udienza di ieri si sono costituiti come parti civili il nonno materno del bimbo, Maurizio Olivieri, presente in aula con l’avvocato Federica Mancinelli, e lo zio paterno Riccardo Bonifazi seguito dal legale Daniela Gori. «Proviamo un profondo dolore – ha detto il nonno del bimbo –. Chiediamo piena giustizia per Francesco che non c’è più, il risarcimento è l’ultimo atto. È un danno irrisarcibile. Ma sentiamo una profonda fiducia nel fatto che il giudice ascolti le nostre motivazioni».

Assente Mecozzi, difeso da Fabio Palazzo, i genitori di Francesco non si sono costituiti parte civile in attesa del processo d’appello. Era presente comunque all’udienza il loro legale Federico Gori. Si è costituita parte civile anche l’Unione nazionale consumatori che, tramite il legale Corrado Canafoglia, ha spiegato come questo sia «il riconoscimento di un’attività ventennale dell’Unc contro le fake news in materia medico-sanitaria. Vogliamo che si faccia massima chiarezza su questa tragica vicenda perché episodi del genere non devono più accadere». L’Unc ha avanzato la richiesta di 50mila euro come risarcimento «che comunque verrà utilizzato per svolgere attività per combattere le fake news e per la prevenzione medica». Parlando anche del risarcimento per la famiglia Bonifazi, il nonno Olivieri ha aggiunto: «Qui in aula si è parlato di risarcimenti. Non vorrei che passasse una falsa notizia: che noi siamo interessati a questo tipo di risarcimento giudiziale. Potete capire che per noi nonni e genitori cambia poco. Perché Francesco non c’è più».

al. big.

***

 

La mamma di Francesco ha 38 anni e si chiama Maristella Olivieri. Laureata in lingue, altri due bimbi piccoli, vive a Cagli e svolge l’attività di pastaia assieme alla famiglia. Dimostra meno della sua età. I lineamenti sono sottili e la voce è leggera. Solo le parole sembrano avere il peso di un pezzo di marmo che cade dalla cava: «A quelli che insultano, che puntano il dito su di me per la morte di Francesco, che mi vogliono in carcere, dico di riflettere perché può succedere a chiunque. Non cerco giustificazioni. La mia vita è segnata per sempre, il mio cuore è spento. Ad ogni risveglio al mattino ripercorro quei giorni che ci hanno portato via Francesco. Qualunque mamma sa cosa significa amare un figlio, vederlo crescere, abbracciarlo forte ogni volta che puoi e sommergerlo di baci. È una parte del tuo corpo».

Che cosa ricorda del maggio di due anni fa?

«Siamo caduti in un burrone da dove pensavamo di non uscire più. Invece l’amore di chi ci sta intorno, il calore delle persone, un sorriso, il dovere verso i nostri due figliminori di crescerli in un ambiente sereno, permette a me a mio marito di continuare a guardare al futuro».

Racconti quei giorni.

«Ho passato conmio figlio ogni minuto dal 7 al 27 maggio 2017, dai giorni di febbre e dolore altalenante alla guarigione dall’otite di un orecchio per poi trasferirsi all’altro, con Francesco che il giorno prima del precipitare della situazione giocava allegramente con i Lego».

Lei non si è mai accorta della gravità della situazione?

«Mi chiedo mille volte al giorno che cosa mi abbia impedito di capire. Le rassicurazioni del medico, la storia di Francesco soggetto a frequenti otiti sempre guarite dal dottor Massimiliano Mecozzi, quei quindici giorni molti dei quali senza febbre e con Francesco che era tornato a giocare a pallone».

Ha mai pensato che il bambino potesse correre pericolo di vita?

«Mai, nemmeno quando lo portavano in ambulanza ad Urbino e nemmeno quando eravamo in viaggio verso il Salesi di Ancona. Non riuscivamo a renderci conto della tragedia».

Cosa pensavate che avesse?

«Per noi Francesco aveva il solito mal di orecchie e un po’ di influenza. Come tante altre volte in passato».

Curate come?

«Con l’omeopatia».

Voi eravate contrari ai farmaci e alle vaccinazioni?

«Ma no, i nostri bambini sono stati vaccinati tutti, non c’era nessuna presa di posizione o battaglie culturali in corso. Siamo persone semplici, normali, che si sono rivolte ad un medico iscritto all’albo e non ad un santone».

Al processo era certa insieme a suo marito di essere assolta?

«Non avevo dubbi. Ho fatto la madre, ho curato mio figlio minuto per minuto seguendo le istruzioni di un medico, lo riconoscono gli stessi giudici, la mia colpa è di non essermi rivolta ad altri sanitari non capendo la gravità della malattia che aveva aggredito Francesco, malattia subdola che si manifestava un giorno con febbre e il successivo senza così».

Ha più rivisto il dottor Mecozzi?

«No. Mi basterebbe solo guardarlo negli occhi in silenzio».

Ora come si sente?

«Perdere un figlio e vedersi accusata di questo non lo auguro a nessuno. Ma alla fine, al di là delle parole, una mamma finché vive non potrà mai darsi pace».

Il tribunale dei minori vi ha esaminato per capire la vostra capacità genitoriale?

«Sì, e abbiamo collaborato costantemente con i vari operatori. Un esame, giusto, logico, approfondito dall’esito sperato, che ci ha fatto bene perché ci ha dato forza per riaprirci alla vita».