Bullismo a scuola a Pesaro "Ho rubato io il pc". Ma non era vero: l'autoaccusa per paura

Messo alle strette ha detto la verità: con il furto non c’entro niente. Era stato incaricato da un 18enne di vendere il pc: "Fallo o ti ammazzo"

I carabinieri hanno indagato sull’episodio di bullismo legato al furto di un computer

I carabinieri hanno indagato sull’episodio di bullismo legato al furto di un computer

Pesaro Urbino, 2 ottobre 2022 - È accusato di aver minacciato di morte, con tanto di coltello, un compagno di classe per costringerlo a vendere il computer rubato nella loro scuola. Il fatto è successo in un istituto del Campus di Pesaro, due anni fa. Ma è emerso solo ora che la procura ha chiesto il rinvio a giudizio per il bullo, un 20enne albanese (18enneall’epoca del fatto). Ricettazione e violenza o minaccia per costringere qualcuno a commettere un reato, le accuse. La sua vittima, al tempo, aveva 15 anni. A far scattare le indagini, nel 2020, è stato il tecnico del negozio di informatica a cui il 15enne si era presentato, secondo il piano dell’albanese, per far resettare il pc prima di poterlo mettere in vendita. Dalle indagini è emerso che l’imputato avrebbe avuto anche un complice. Il suo nome però non è mai stato fatto. Anche il 15enne è finito nei guai, ma con la procura dei minorenni di Ancona. Quando si è scoperto il furto del pc, si era infatti autodenunciato per paura che i due gli facessero fare la fine che gli avevano prospettato. Ma la sua versione non aveva convinto gli inquirenti e neppure il suo difensore, l’avvocato Alexandra Tamburini. Tanto che al secondo incontro col suo legale, messo alle strette, è crollato e ha raccontato di quelle botte e minacce.

Tutto nasce con la sparizione di quel pc. L’autore del furto è però tuttora misterioso. Di sicuro c’è che un giorno il computer sarebbe ricomparso tra le mani del 20enne, il quale avrebbe pensato di metterlo all’incasso. E di farlo, approfittando di quel compagno di classe che si divertiva a bullizzare. Insieme al complice, a novembre 2020, fermano il ragazzino. Gli ordinano di portare il computer a resettare in un negozio di informatica. E lo fanno in modo molto convincente. L’albanese, secondo l’accusa, sfodera un coltello e parte con le minacce di morte: "Ti trovo e ti riempio di botte. Devi fare quello che ti dico io o ti uccido". L’altro lo avrebbe schiaffeggiato ribadendo il concetto. Terrorizzato, il ragazzino va nel negozio. Ma al tecnico non sfugge il logo della scuola. Chiama la preside e si solleva il velo sul furto del computer denunciato due giorni dopo ai carabinieri dalla stessa dirigente.

Il 15enne si autoaccusa e si ritrova indagato dalla procura dei minorenni di Ancona. Ma il suo legale non gli crede. La preside gli dice che è uno studente tranquillo e pure con bei voti. Lo incalza e lui alla fine racconta l’altra verità. Il bullo nega le accuse. "Non è stato lui, ma qualcun altro", sostiene il suo difensore, l’avvocato Leonardo Chiocci.