
La sera "puttana", la mattina "ti amo". La famigliola felice in pubblico e l’inferno a casa. Per 15 anni la sua vita è stata così: una dissociazione costante tra le ferite che sentiva e la realtà che lui le raccontava e a cui finiva per credere. "Una donna maltrattata vede il mondo con gli occhi del suo aguzzino. Perde la precezione della realtà, si sente in colpa. E’ un cancro che ti mangia piano piano e non lo vedi". Ma non è per raccontare questo che Giuliana, la chiameremo così per tutelare lei e i suoi figli, viene in redazione. Ha due fogli a quadretti scritti a penna, forse strappati dal qualderno di uno dei suoi bambini in un impulso di verità e rabbia. Viene per denunciare il vuoto attorno alle vittime di violenza. Un vuoto riempito solo dal clamore di una foto sul giornale. Quando ormai è tardi.
"Prima di quell’articolo sul giornale e di quella vittima – dice – c’è un mondo che ancora non viene capito. Prima della fine c’è un vuoto sociale dove tu sei sola. E continui ad essere sola anche dopo, perché quando trovi il coraggio di denunciare torni a casa lui è ancora lì, o magari è fuori che aspetta. A noi donne ci mettono nelle case protette, ma loro sono fuori, sono liberi. Hanno il divieto di avvicinamento ma vanno dove vogliono. Siamo noi a vivere con il terrore di incontrarli. Loro continuano a decidere della nostra vita". Giuliana si trova esattamente a quel punto. Ha vissuto 15 anni di un amore malato, ha denunciato più volte, ha ritirato le querele, ha provato a ricostruire una famiglia con quell’uomo. Ha fallito ogni volta, come un tossico che si concede "l’ultima" e puntualmente ci ricasca.
"Mi sono innamorata di quest’uomo che avevo poco più di 20 anni. Aveva un carattere solare, istrionico. Dopo due mesi vivevamo già insieme. L’ho sempre difeso a spada tratta, ho sempre creduto a tutto quello che diceva, anche quando mi maltrattava. Tra alti e bassi la storia ha funzionato finché ero sotto il suo controllo, ma quando una separazione forzata mi ha sottratto a lui, è stato come se di colpo abbia aperto gli occhi. Tornata a casa ero cambiata: lui ha capito che non aveva più il controllo su di me. Ed è iniziata la mattanza".
"Sei carne morta". "Ti uccido". E poi sputi. Schiaffi. Calci. Da soli o in presenza dei bambini. E ancora pedinamenti, minacce. Tutto il corollario di veleni e brutalità che si alternavano a momenti di subdola dolcezza. Quelli in cui lei ritirava le denunce. E lui, dopo l’ennesimo scontro, le diceva: "Adesso non ti crede più nessuno". "Me l’avevano detto, i carabinieri, che se avessi ritirato la denuncia avrebbe fatto peggio. Ma io non li ho ascoltati. Lui era come un tarlo che mi consumava ed erodeva le mie sicurezze". E quel tarlo ricomincia, con molta più violenza. Scatta il divieto di avvicinamento, ma la violenza non è sopita e trova altre forme per manifestarsi: niente soldi, nessun sostegno con i bambini. "Non vedevo la luce. Me lo sono ripreso in casa. Dopo due settimane era tutto come prima. Ero depressa, capivo di sbagliare, ma non sapevo come venirne fuori".
E’ questa la solitudine che precede gli esiti più nefasti. Ma nel caso di Giuliana, ha aperto la strada a una nuova consapevolezza. "Sono andata in un centro antiviolenza, e mi è servito tantissimo. Ho capito chi avevo al mio fianco, ho capito che non ero matta ma ero stata portata allo stremo". La strada, però, è ancora lunga e certi meccanismi sono difficili da comprendere. "I servizi sociali mi stanno col fiato sul collo, ed io sono d’accordo, ma mi domando: possibile che queste persone, che dovrebbero essere competenti, non siano mai in grado di riconoscere quei soggetti pericolosi, nonostante abbiano già ferito, umiliato, denigrato madri, mogli e soprattutto logorato figli in rapporti malati e disfunzionali? Perché concedono loro continue possibilità di redimersi, mentre a noi dicono ’denunciate’, e poi ci lasciano sole, a pregare che non succeda niente? E’ troppo lenta questa giustizia, troppo sbagliato questo sistema. Ora lui ha tutti gli occhi addosso, non si azzarda fare passi falsi. Ma i mostri non sono sconfitti, sono là fuori, dormono solamente".
Benedetta Iacomucci