"Ci resta soltanto la merenda"

Bar e ristoranti chiusi alle 18: monta la protesta dei titolari

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Un "cazzotto" in faccia, che, alle 10 e 30 del mattino, quando hai già servito qualche colazione, e ti prepari per gli aperitivi, fa ancora più male. I titolari di bar e ristoranti reagiscono così all’imposizione del nuovo dpcm: chiusura obbligatoria alle 18. Addio aperitivi. Addio cene. Ieri sera l’ultima. Fino al 24 novembre.

"Ai ristoranti cosa resta, la merenda?", dice caustico Alberto Morrichini, che pure di emorragie alla cassa, col suo bar, il Centralino in piazza del Popolo, ne avrà, visto che la sera, dalle 18 in poi, di aperitivi ne serve parecchi, anzi ne serviva parecchi: "Qui – dice Morrichini – lavoriamo in cinque, tre soci e due dipendenti, è una piccola industria: mi verrà a mancare il 50-60% degli incassi. Un mese di orario ristretto è troppo. Mesi fa ho fatto il prestito dei 25mila euro concesso dal governo, me l’hanno dato, lo sto restituendo a rate, mi hanno dato anche 600 euro, ma cosa ci fai con 600 euro? Chiudere il locale alle 18 non è lavorare. Pensare che dopo 25 anni di lavoro volevo riposarmi, e invece la salita comincia proprio ora". "Bisognerà iniziare a pulire il locale alle 5 e mezza – dicono Susanna e Arianna Pucci, titolari della Caffetteria delle Note, via Pedrotti – Il sabato e la domenica lavoravamo molto anche dopo le 18. Una ragazza ci aiuta qui dalle 16 alle 20, dovremo toglierle due ore. Prima ne avevamo anche un’altra, altri tempi".

Poi ci sono i bar doppiamente penalizzati, vedi il Mhoo bar, (ex Walter) di piazza Lazzarini, che lavorava in grandissima parte col teatro a fianco. Un locale passato da fare quasi 800 scontrini al giorno con eventi come il Rof, a neanche 180. "Continua a passare l’idea – dice il titolare, Giovanni Gessi – che i bar siano i luoghi in cui ci sono gli untori, ma così non è. Se si parte dal presupposto che un locale rispetta i protocolli, perchè poi mi devi imporre la chiusura anticipata? Io ho investito qui circa 500mila euro: ma il Rof è decimato, col Gad siamo a 100 persone massimo. E poi la gente adesso ha paura a entrare nei bar, che è l’opposto dell’idea di accoglienza che tutti noi con i nostri locali vogliamo dare. Senza contare gli affitti: migliaia di euro, poi incassi cifre ridicole: come fai a reggere? Però terremo botta fino all’ultimo". Lì vicino, Patrizio Borchia, Harnold’s: "Primo, ubbidire. Io ubbidirò. Ma una serrata così generale non ha senso. Speriamo che salvino almeno il Natale. Dovrò riorganizzarmi, come per il lockdown: l’asporto la volta scorsa non l’ho fatto, stavolta ci penso".

Passiamo all’altra Caporetto, ancora più dolorosa, i ristoranti. Locali come il "C’era una volta": l’80% degli incassi fatti la sera, come noto. Anche loro, riunione. "Eh sì – dice William Petroccione – dovremo inventarci qualcosa. Asporto, la sera? Sì. O magari teniamo aperto tutto il giorno, senza la chiusura pomeridiana? Forse. Ma servirebbe? Non lo so. Così però è un massacro. Se continua lo smart working non incassiamo più neanche a pranzo. E con l’asporto raggiungi al massimo il 40% dell’incasso normale. Stavamo assumendo due persone per il lavaggio piatti e l’asporto. Posti di lavoro che saltano, già siamo troppi noi".

Spostandosi in periferia: Enrico Ricci, dell’omonima pizzeria, lungo la Montefeltro. "Andava garantito il primo turno di cena. Alle 22 tutti a casa, si riusciva. Siamo passati da chiudere alle 24 di prima, alle 18 di adesso. Sbagliato. Qualcuno di noi si salva a pranzo, ma chi lavorava solo la sera? Cosa farò io? Mi riorganizzo e mi concentro sul pranzo. Si torna all’asporto, visto che in certe sere faccio un discreto lavoro. Ma mi basta per sopravvivere. Il mio incasso era un 40% la sera, il 60% al giorno, ma il sabato e la domenica cambiava. Ieri sera (domenica) per dire, ho fatto 150 coperti. Ma chi viene a pranzo mangia a menù fisso, 13 euro, i guadagni sono risicati. La sera invece era diverso. I miei colleghi dicevano, ’non ci fanno richiudere’, Io invece avevo paura. Queste restrizione non serviranno: dovevano muoversi prima. Ad agosto, vi ricordate, sembrava che fosse tutto finito...".

Alessandro Mazzanti