Colarizi: "Qui mi diletto a scrivere su Fano"

A casa del noto manager d’azienda, giornalista scientifico e romanziere. "Questa all’inizio, quando lavoravo fuori, era la dimora del mare"

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Rodolfo Colarizi è un fanese doc che abita in un signorile palazzo del Seicento nel centro storico. Manager d’azienda di colossi farmaceutici, giornalista scientifico, romanziere, è autore di una quarantina di libri equamente suddivisi tra testi di divulgazione scientifica con particolare attenzione alla patologia diabetica, alla dietetica e alla geriatria (per i quali ha vinto il prestigioso premio giornalistico Upjohom negli Usa) e di narrativa, con la sua città natale che è spesso musa ispiratrice. Dopo tanto girovagare tra Milano e l’estero, Rodolfo, lei è tornato a casa.

"Questa all’inizio era la casa del mare quando lavoravo fuori. Oggi è il luogo dove vivo e mi diletto a scrivere su Fano. Ma il genere che mi affascina più di tutti è il romanzo. Perché è come veder scorrere un film. Ne ho scritti una quindicina, il più bello è "La lampedusana", tanto è vero che tutti vogliono farci la versione cinematografica, ma non si trovano i quattrini".

La sua attività di divulgatore scientifico ha permesso anche di avvicinare qualche nome importante?

"Beh, sì, tanti. Tieni presente che ho fondato e diretto per 17 anni la rivista "Diabete, oggi e domani" e sono stato caporedattore di altre, l’ultima quella che mi ha chiesto la Regione Marche, quando sono rientrato, per gli 80mila diabetici marchigiani. Ma per rispondere alla tua domanda racconto questo episodio. Da presidente del Lions Club una sera a Milano invitai lo scrittore Piero Chiara a tenere una conferenza al "Savini" sotto la Galleria. Tutti dicevano: ma chi siede vicino a lui, chi ci parla, perché Chiara in quel momento era all’apice della sua carriera e c’era un reverenziale rispetto. Io allora avevo intravisto nelle storie di Chiara, "La stanza del vescovo", "La spartizione", "Vedrò Singapore", ecc, i nostri vitelloni fanesi, un’affinità quindi; infatti lui era di Luino sul Lago Maggiore ed era fissato col lago, noi avevamo il mare. Così senza averlo mai conosciuto prima di quella sera, finii al tavolo con lui. Mi chiese: di cosa si occupa? Risposi: di diete e diabete. "Eh – fece lui – io sono diabetico!" Gli occhi degli altri commensali seduti al tavolo mi fulminarono perché a quel punto avevo monopolizzato il discorso con lui. Si faceva chiamare professore, invece era un cancelliere alla pretura di Varese. Forse però in Svizzera doveva aver insegnato. Mi disse: sia gentile vediamoci un’altra volta, venga domani a trovarmi perché voglio continuare il discorso. L’indomani presi un giorno di ferie e salii a casa sua con la mia valigetta: gli diedi i consigli per il suo diabete e diventammo amici. Ancora oggi sono iscritto al sodalizio "Amici di Piero Chiara". Da ogni parte del mondo dove teneva conferenze mi mandava una cartolina perché gli regalavo il mio nuovo prodotto, il dolcificante Suaviter. Tanto che una volta dalla Norvegia mi scrisse: caro Rodolfo ti sono molto riconoscente però ho raggiunto un livello sociale che me lo posso comprare!".

Un bel personaggio...

"Era geniale un bel po’! Era un po’ fissato col sesso, però era anche orgoglioso per quei quattro perdigiorno che giocavano al biliardo che erano, si può dire, i fratelli dei nostri del Caffè Centrale".

I suoi maestri di giornalismo? "Indro Montanelli e il fanese Nestore Morosini. Montanelli mi ingaggiò al Giornale dopo un pranzo, con Nestore mi legavano 10 anni trascorsi al collegio Sant’Arcangelo. Mi portò al Corriere della Sera e facemmo una rubrica "Disturbi e viaggi", io scrivevo di malanni, lui di auto. Due amori, farmaceutica e giornalismo spesi davvero bene". Anche da lontano, però Fano sempre nel cuore...

"Fano è stata sempre il faro. Sono stato fuori 40 anni, ma più vai in giro e più le radici ti richiamano, perché qui hai gli amici veri. Da giovane ero presidente dei goliardi. Al dancing Florida ho conosciuto mia moglie. Una volta Claudio Villa fermò la canzone per far entrare quelli che erano sulla massicciata della linea ferroviaria. Chi non è passato al nostro Centrale, con i vari Boidi, Solazzi, Vannucci, Piersimoni, Petrolati, Pascucci, Uguccioni, Micheli, personaggi mitici della nostra fanitudine. Rimettemmo a posto una vecchia barca di fuggiaschi da Tito e con la sponsorizzazione Ferrania sulla vela viaggiavamo lungo la costa, le ragazze dalla spiaggia facevano a gara per salirci".

La cosa più preziosa?

"Una panca della famiglia Leopardi. È dipinto lo stemma del leopardo rampante e il ramoscello d’ulivo della Adelaide Antici, mamma di Giacomo. Non comprai la seconda: fu la più grossa delusione della mia vita".

Collezioni?

"I piatti elemosinieri, dal 400 al 600, sono tra i primi collezionisti, in testa c’è Trussardi. Sono piatti disegnati circondati da scritte indecifrabili perché fatti da lattonieri e fabbri analfabeti che appiccicavano lettere alla rinfusa. E poi i libri, i miei e quelli che mi ricordano dove li ho comprati. Possesso la raccolta degli scritti del latinista fanese Adolfo Gandiglio (1876-1931) sul Resto del Carlino. Introvabile". Silvano Clappis