Coronavirus Pesaro, Aurelio il primo estubato. "Ora so cosa ho rischiato"

Il bancario di 51 anni è stato estubato dopo 10 giorni. "Il mio unico pensiero? Mia moglie e mia figlia. Ho visto gente morire"

Aurelio Patregnani, il primo estubato

Aurelio Patregnani, il primo estubato

Pesaro, 24 marzo 2020 - "Ero mezzo addormentato, ma sentivo medici e infermieri che mi dicevano: “Aurelio, vuoi tornare a casa? Allora respira, devi respirare! Stai andando bene, ma devi respirare!". Aurelio Patregnani, bancario di 51 anni, è ritornato alla vita giovedì scorso. E’ il primo degli estubati delle Marche, grazie anche al Remedisivr, il farmaco antivirale per l’ebola che l’azienda ospedaliera sta sperimentando su 19 pazienti. Ha capito solo ieri di essere un mezzo miracolato.

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"Credevo di essere un malato qualsiasi – dice dal San Salvatore dove è ancora ricoverato ma non più in terapia intensiva –, poi mi hanno dato un Ipad, ho visto che avete intervistato mia moglie, non riuscivo a capire perquale motivo: io in quei giorni ero preoccupato per la mia famiglia. Poi invece ho capito cosa stava succedendo intorno a me: ora so che sono stato fortunato. Mi trema la voce se ripenso a cosa ho rischiato".

Aurelio, ripartiamo dall’inizio. "E’ cominciato tutto con un po’ di febbre, era il 26 febbraio".

Pensava fosse una banale influenza? "Sì, me l’ha detto il mio medico: ‘E’ un’influenza, ti faccio un certificato di tre giorni".

Poi invece? "La febbre continuava, fino a 38 e mezzo, sono stato a contorcermi in casa per 11 giorni, tra la temperatura che saliva e il mal di testa".

E non ha mai pensato al Coronavirus? "No, perché non ero stato nelle zone rosse ed ero convinto di non aver avuto contatti con alcun contagiato. Poi si è ammalata anche mia moglie. Ma il sospetto l’ho avuto quando una collega mi ha detto che un cliente che io avevo incontrato era risultato positivo: questo era il tassello che mi mancava".

E a quel punto cosa ha fatto? "Mi sono fatto accompagnare al pronto soccorso da una nostra amica, uno degli angeli di questa storia. Lì si sono accorti che avevo la polmonite e che era grave. Mi hanno fatto il tampone: positivo. Era il 6 marzo, pochi giorni dopo, il 10, mi hanno intubato".

Quanti giorni è stato in terapia intensiva? "Sono rimasto intubato per 5 o 6 giorni, mi pare".

E cosa ricorda? "Un’esperienza stranissima, potrei parlare per mezz’ora. Io probabilmente ero sedato. Si vedono e si sentono cose che non sai se non sono successe veramente. Ho visto altre persone accanto a me quando mi hanno svegliato c’era anche un mio amico, poi ho saputo che non ce l’ha fatta: Carlo Di Loreto. Sentivo i medici che facevano la conta dei nomi: una cosa impressionate. Poi l’anestestista ha deciso di portarmi di sopra, fuori dalla terapia intensiva. Non sapevo quanto fosse passato, l’ho letto sul Carlino".

Qual è stato l’ostacolo più difficile sa superare? "Sono stati giorni duri, sopratttutto perché non potevo vedere i miei familiari, mia moglie Lucilla e mia figlia di 14 anni. Ero preoccupato".

A cosa pensa adesso? "Penso che qui, nella nostra provincia, abbiamo una risorsa importantissima: medici, infermieri e operatori sociosanitari con una professionalità e una umanità incredibili, gente che salva la vita. Gli eroi e gli angeli sono loro e a loro devo la vita: dico grazie al nostro ospedale e alla nostra sanità. La possibilità di essere salvati ce la dà il servizio sanitario nazionale, dobbiamo esserne fieri, perché tutti possiamo goderne. Ed è un bene prezioso".

Chi ricorda in particolare del personale? "Tutti, ma ma mi viene in mente Simona, un’infermiera del dipartimento emergenza: avevo perso il cellulare ed ero preoccupato per le condizioni di mia moglie e mia figlia. Lei mi ha dato il suo telefono e mi ha consentito di chiamarle. Ci ho parlato per la prima volta tre o quattro giorni fa, non le sentivo dal 10 marzo".

Adesso come sta?  "Benissimo. Devo aspettare fino a giovedì per finire la terapia antivirale, poi dovrò rimanere in isolamento fiduciario per 14 giorni anche se il tampone dovesse essere negativo".

Come l’ha cambiata questa esperienza? "Dopo 10 giorni senza bere, il primo bicchiere d’acqua è stata una gioia immensa. Capisci la bellezza della normalità. Ora so di essere una persona fortunata".

Qual è la prima cosa che farà una volta che tutto sarà finita? "L’unica cosa che sogno è abbracciare mia moglie e mia figlia".