Coronavirus Pesaro, "Mio marito, all’inferno e ritorno. Intubato poi la guarigione"

Parla Lucilla, moglie di Aurelio Patrignani, primo malato ad uscire dalla Rianimazione dopo aver vinto il virus

Lo striscione davanti all'ospedale

Lo striscione davanti all'ospedale.

Pesaro, 20 marzo 2020 - "La paura più grande? Non sapere come poteva finire". A parlare è Lucilla, la moglie di Aurelio Patrignani, 51 anni di Pesaro, il primo positivo Covid-19 ad uscire dalla Rianimazione del San Salvatore dopo aver debellato il Coronavirus. Il caso ha voluto che Lucilla, oltre ad appartenere ad una famiglia conosciuta (Cesare, il padre, è stato per anni leader delle associazioni combattentistiche, mentre il fratello Davide è un funzionario del Comune), sia anche una dirigente dell’ospedale. Aurelio invece lavora in banca ed è un attivista del movimento europeista. Una coppia impegnata che si è ritrovata improvvisamente catapultata in un incubo.

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"Per noi tutto è iniziato il 25 febbraio, quando siamo stati colpiti contemporaneamente da quella che sembrava solo una violenta influenza" racconta Lucilla. Erano i giorni in cui l’Italia scopriva la presenza del nuovo Coronavirus, ma questa idea non aveva neppure sfiorato la famiglia Patrignani: "Siamo andati avanti con gli antibiotici per 10-12 giorni. Io però avevo anche la tosse e, visto che non mi sembrava di respirare più bene, venerdì 6 marzo mi sono fatta trasportare al Pronto soccorso. Mio marito invece non è voluto venire, diceva che non ce n’era bisogno. Sono riuscita a convincerlo a farsi visitare solo grazie alle insistenze della mia dirigente, che mi aveva accompagnato a casa". Il referto è chiaro: polmonite bilaterale provocata da Coronavirus.

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«Il suo caso è inizialmente sfuggito – racconta Lucilla – perché non rientrava nei criteri epidemiologici: non aveva avuto legami con il lodigiano né contatti a rischio, anche se a posteriori abbiamo saputo che alcuni suoi clienti si erano ammalati". L’uomo peggiora e martedì 10 i medici lo intubano: "Il dottor Michele Tempesta e i suoi sono stati splendidi, presentandomi questo come un passaggio naturale, ma necessario, del protocollo terapeutico. Senza nascondere niente sono riusciti ad infondermi grande fiducia".

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Aurelio risponde bene alle terapie e dopo 6 giorni esce dalla ventilazione meccanica e viene messo nelle condizioni di respirare da solo. E ieri è stato immortalato senza la maschera dell’ossigeno, attorniato da medici ed infermieri che hanno l’aria di essere più felici di lui. "Non sono riuscita ancora a parlargli – dice la moglie - ma gli dirò che ci ha fatto prendere una gran paura. Parlo al plurale perché ho avuto intorno una rete di persone che mi ha sostenuto in ogni momento, innanzitutto i colleghi dell’ufficio amministrativo che si sono fatti carico del lavoro che avrei dovuto fare io. Li ringrazio di cuore e ricordo a tutti che senza il loro spirito di sacrificio ora l’ospedale non potrebbe funzionare.". Lucilla è chiusa in casa insieme alla figlia tredicenne, ma ormai la quarantena non le pesa più. "Quando sarà tutto finito, faremo festa insieme".