Coronavirus Pesaro, troppi morti nelle case di riposo. C'è l’inchiesta

Indagine all’inizio, non ci ancora nomi: nel mirino una struttura

Il procuratore capo Cristina Tedeschini (Fotoprint)

Il procuratore capo Cristina Tedeschini (Fotoprint)

Pesaro, 14 aprile 2020 - Perché così tanti morti nelle case di riposo? Cosa non ha funzionato nella gestione dell’emergenza Covid19? Sono interrogativi sollevati da più parti e che ora hanno fatto muovere anche la Procura di Pesaro. Il procuratore capo Cristina Tedeschini ha infatti disposto l’acquisizione di dati relativi a una struttura pesarese. Un’attività conoscitiva che corrisponde di fatto a una fase appena embrionale dell’indagine. Non ci sarebbero ancora né nomi iscritti, né imputazioni.  

A mettere in moto la macchina dell’accusa potrebbe essere stato un esposto, ma spunti potrebbero essere stati offerti da alcuni articoli di stampa. Lo stesso governatore della Marche, Luca Ceriscioli, giusto qualche giorno fa, ha parlato di "evidenti sottovalutazioni ed errori" che sarebbero stati commessi nelle case di riposo e strutture residenziali dove il coronavirus ha fatto strage di anziani. Nell’arco di 11 giorni, dal 12 al 23 marzo, ad esempio, a Santa Colomba, ma a casa Aura, sono morte 23 persone. Normalmente i decessi sono 30 all’anno.  

A sollevare preoccupazione anche le parole di un operatore di una casa di riposo, il quale, qualche giorno fa ha rivelato come "ancora all’inizio di marzo ci dicevano che non dovevamo indossare le mascherine, perché spaventavamo gli ospiti e che tanto non c’era nulla di cui preoccuparsi. Così, se qualcuno di noi cercava di tutelarsi autonomamente, attrezzandosi come meglio poteva, gli veniva di fatto impedito".

Gli addetti ai lavori hanno lamentato la "sottovalutazione del problema, il grave ritardo con cui si è posto rimedio ed anche l’inefficacia dei provvedimenti presi". E questo non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Un modus operandi che sarebbe stato replicato in più case di riposo. "Tra fine febbraio e inizio marzo – hanno detto dal Santa Colomba - in Italia la situazione stava già esplodendo, e qui si facevano feste di Carnevale, si continuava a fare venire le famiglie in visita, alcune provenienti anche dal nord Italia".

Senza che fossero rispettate le misure più elementari. E cioè senza mascherine, guanti o camici. Quando poi è esplosa l’emergenza sanitaria, gli operatori avrebbero ricevuto dispositivi di sicurezza inadeguati. Non solo. Nonostante fosse ormai chiaro l’alto rischio di contagio, nelle strutture si sarebbe verificata una "promiscuità continua tra gli ospiti, tra gli infetti e i presunti sani".