Coronavirus Pesaro, ricoverato 90 giorni. "Mi davano per morto"

Silvano Leva, 65 anni, ha lottato tre mesi con il virus. "In ospedale dal 13 marzo, poco dopo hanno avvertito i miei per prepararli al peggio"

Silvano Leva, assicuratore di 65 anni, uno dei sopravvissuti

Silvano Leva, assicuratore di 65 anni, uno dei sopravvissuti

Pesaro, 20 giugno 2020 - "Sa dove avevano messo tutti i miei effetti personali compreso il cellulare? Dentro la camera mortuaria", racconta Silvano Leva, 65 anni, sposato e due figli. Ha passato 90 giorni all’ospedale con il coronavirus. Una specie di via dolorosa la sua anche, se lo spirito di quest’uomo fa capire tutto.

"Mi sono venuti a prendere in ambulanza a casa il 13 marzo – racconta – e poi da Pesaro mi hanno portato a San Bendetto. Quando mi hanno messo il catetere ho sentito una voce che diceva ‘qui bisogna tagliare’ e a quel punto ho avuto un sobbalzo e ho tirato un gran calcio". Un uomo allegro Silvano Leva, assicuratore, ora a casa. Una storia da brividi la sua perché all’ospedale di San Bendetto, dove è stato inviato da Pesaro, dopo pochi giorni dal ricovero i medici hanno chiamato i familiari a casa per dire che si era alla fine. "Sì, perché appena sono entrato in rianimazione ho avuto una emorragia interna e sono andato in coma. C’era con me gente che diceva che non ne poteva più, ma io non ho mai mollato. Ed ho subito nel corso del ricovero, oltre alla emoraggia interna, anche tre tracheotomie".

Ha visto anche gli angeli? "Quando ho preso coscienza, premesso che non ricordo più nulla, non ho visto gli angeli, ma delle belle infermiere. E sai come è stata soprannominata la dottoressa che mi ha curato? La resuscita-morti. Uno solo è morto di quelli ricoverati a San Bendetto. Poi gli infermieri bravissimi, si mettevano a piangere con me. Una ragazzina di 24 anni mi ha confessato che tutte le sere pregava per la mia salute. Una tenerezza infinita".

Quando è uscito dall’ospedale? "Venerdì della scorsa settimana. Ma non per volontà dei medici, ma perché ho detto chiaramente che non ne potevo più, che volevo uscire, firmavo tutti i documenti del mondo e facevo veneri giù tutti gli amici da Pesaro per prelevarmi. Volevo tornare a casa. E poi un’altra cosa..."

Quale? "Ad un certo punto mi sono anche stufato di mangiare con la flebo e poi pappine per cui ho iniziato lo sciopero della fame".

E come è finita? "Che ho vinto io, per cui ho iniziato a mangiare come una persona normale".

Adesso? "Adesso sono a casa, in giardino, viene tutti i giorni il fisioterapista e sto accanto alla mia famiglia. Mi sto riprendendo".

Telefonate? "Centinaia, ma non solo da quando sono a casa, ma anche quando ero ancora ricoverato a San Bendetto. Un po’ da tutta Italia, visto anche il lavoro che faccio. Comprese quelle degli amici, alcuni dei quali avevano anche fatto dire messa per me. Perché è vero, mi davano per morto".

Come ha preso il virus? "Onestamente non ne ho la più pallida idea anche perché io incontro tutti i giorni un centinaio di persone per lavoro. resta un mistero per me". m.g.