Coronavirus, Sergio Guerra morto. Addio al 'prof' che amava il rock

Era docente a contratto di Letteratura e cultura inglese a Urbino. Conosciutissimo in città per le miriadi di concerti fatti nei più svariati locali. La sua via crucis con medici e ospedali. Il dolore dei tanti amici

Una foto di alcuni anni fa di Sergio Guerra, con uno dei suoi amati gatti

Una foto di alcuni anni fa di Sergio Guerra, con uno dei suoi amati gatti

Pesaro, 31 marzo 2020 - Gli piacevano il rock, le feste con gli amici, i gatti, la cultura anglosassone. Sergio Guerra, professore a contratto di lingua inglese all’università di Urbino, conosciutissimo in città per le centinaia di concerti che ha fatto da anni nei più svariati locali, se n’è andato all’età di 64 anni, ucciso dal virus. Il rock e i Beatles erano la sua vita, poi le amate chitarre, i ricordi di tantissimi viaggi che aveva fatto da giovane - Stati Uniti, quasi tutta l’Europa, l’Australia, dove aveva lavorato per alcuni anni. Le serate a casa sua, in centro storico, soprattutto per il suo compleanno, il 26 dicembre, erano un must, ogni anno, per tutti quelli che lo conoscevano. Pur di suonare la chitarra e cantare, era capace di sudare allo sfinimento e poi cambiarsi la maglietta. Aveva da buon ipocondriaco il terrore del male, e il male se l’è preso.

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Chi ha seguito la sua via crucis, suo iter, dalla febbre fino all’esito fatale, come accade troppo spesso in questi giorni terribili, segnala grosse mancanze. Sergio Guerra inizia a sentirsi male martedì 25 febbraio, forse a seguito di una serata musicale, avvenuta qualche giorno prima in un locale della città. Era già intimorito, quella sera, per paura del contagio al concerto, ma ci va lo stesso. Prende precauzioni. Il sabato gli amici lo chiamano, "Lui dice: sto male, ho la febbre da martedì, ora è a 39". Era sabato, chiama il numero verde. "Se non ha sintomi respiratori, è a posto", la risposta.

Poi lui chiama il medico suo, gli dà antibiotico e tachipirina. Il medico va in quarantena. La sostituta: "Potrebbe essere polmonite", e gli fa l’impegnativa per un radiografia". Ma anche il medico gli dice che in ospedale rischia il contagio, quindi la lastra non la fa. Sta ancora lì per altri due giorni. Pareva che con la tachipirina la febbre scendesse. Chiama la guardia medica, gli dà un antibiotico più potente, poi cortisone e ricostituente. Finalmente lo vanno a prendere a casa con il 118, l’11 marzo. Lo portano a Senigallia, i tamponi gli vengono fatti ma risultano negativi, ma lo intubano per problemi respiratori gravi. Lo trasferiscono a Fabriano intubato, qui il tampone più profondo alla fine gli viene fatto. E risulta positivo. A quel punto lo rimandano a Jesi. Ma è già gravissimo. La morte arriva la notte scorsa.

Quand’era in Australia, dove probabilmente sarebbe rimasto per tutta la vita, a metà anni 80, la madre gli muore investita da un’auto al semaforo di viale XI Febbraio. La sua vita deve svoltare, e lui torna in Italia. Chi lo pensa adesso si sente orfano di lui ma soprattutto dell’allegria che emanava quando suonava, delle parole di incoraggiamento che ha sempre detto se qualcuno del gruppo più ristretto dei suoi amici aveva problemi di salute, e del fatto che si interessava a sempre delle loro condizioni. Si sente orfano, poi, delle tante canzoni che Sergio aveva scritto: parodiando, in maniera inarrivabile, i testi originali con il dialetto pesarese, oppure direttamente scrivendole in dialetto. Amava a tal punto la sua gatta Ali, che pur di non lasciarla sola per più di un giorno è stato capace di non fare più viaggi. Ali è stata adottata da un amico.