Coronavirus Pesaro, Scavolini: "Io chiudo, ma Conte ha sbagliato"

L’industriale di Pesaro: stop da lunedì. "Certe decisioni il Governo doveva prenderle per tutta Italia e non lasciarle ai singoli imprenditori"

Valter Scavolini

Valter Scavolini

Pesaro, 14 marzo 2020 - Cincinnato per forza, Valter Scavolini, uno degli industriali più noti del panorama italiano: la sua campagna è un grande spazio verde che circonda la sua villa alla periferia della città. Attende lì la fine della ‘peste’ per tornare in ufficio. Questo industriale, assieme al fratello, ha creato l’omonima azienda di cucine che attualmente occupa oltre 700 dipendenti: un brand tra i primi cinque più noti del Paese, ed anche sponsor storico del basket pesarese con due scudetti cuciti sulle maglie. Questa famiglia ha anche una Fondazione che interviene sul territorio per recuperare opere d’arte ed aiutare anche organizzazioni legate al soccorso dei bisognosi.

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"Bisogna pur passare il tempo e quindi sto curando il giardino – dice –, perché in queste settimane ho fatto solamente avanti e indietro con la fabbrica e di mattina, andando al lavoro, si capiva che il panorama stava cambiando. Prima si faceva la fila per le macchine delle persone che andavano verso la zona industriale, adesso solo poche auto per la strada e per chilometri non vedi nessuno".

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Scavolini, lei cosa ha deciso di fare con l’azienda: continua a lavorare? "No, abbiamo deciso che da lunedì smettiamo con la produzione e dovremmo andare avanti almeno per una settimana, dopodiché vedremo cosa fare". Come arriva questa decisione, visto che agli imprenditori si dà la possibilità anche di proseguire con la produzione? "Sì, questo era possibile, ma noi, come altri, abbiamo scelto questa strada e cioè quella di fermare l’azienda. Ma onestamente non so, anche se il fermo fosse di una quindicina di giorni, se è una misura che potrà bastare. Lo spero, ma onestamente non lo so". Il lato negativo? "Sicuramente il fatto che il Governo non si è mosso bene sotto questo profilo perché ha lasciato alla coscienza dei singoli imprenditori la scelta se continuare o fermarsi". Cosa c’è di sbagliato? "Una decisione del genere andava presa per tutte quelle produzioni che non fossero legate ai servizi essenziali come per esempio alla catena del cibo e quindi al rifornimento dei supermercati. Non si doveva agire così anche perché si possono creare situazioni di concorrenza sleale. La decisione doveva essere presa per tutta l’italia".

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Ma anche industriali divisi... "Sì, anche a livello nazionale di Confindustria, ci sono colleghi, anche di imprese importanti, che non vogliono chiudere le loro aziende e quindi proseguire con la produzione". Da quelli che lavorano a livello mondiale arrivano giustificazioni tipo: chiudendo tutto lasciamo spazio libero ai concorrenti di altri Paesi. Lei cosa dice? "Cosa vuol dire questo? Anche noi come azienda avevamo in programma di inviare all’estero anche importanti quantitativi di cucine. Ma nonostante questo abbiamo preso la decisione di chiudere perché io credo che la salute dei cittadini vada messa al primo posto, senza però dimenticare anche gli aspetti economici. Comunque vorrà dire che i clienti aspetteranno una settimana, dieci giorni. Poi...". Poi? "Poi bisogna anche dire che i negozi in Italia sono tutti chiusi per cui andare avanti con la produzione per coprire il mercato interno non ha senso anche per il fatto che noi lavoriamo in tempo reale e cioè sulla base degli ordinativi che arrivano. Se stiamo tutti fermi una settimana-quindici giorni non muore nessuno". Ferragosto anticipato? "Esattamente". Sensazione di paura in fabbrica da parte del personale? "Devo dire di no, tolte le solite fisiologiche assenze, molte anche legate al fatto che ci sono i figli a casa. Noi abbiamo preso tutte le precauzioni possibili sia negli uffici che nelle catene di montaggio. Abbiamo distribuito ai dipendenti anche le mascherine".

 

I comportamenti da seguire