Covid, la sindrome dei guariti. Guai ai polmoni dopo mesi

Casi in aumento. "Ecco tutti i segni che il virus lascia"

Nel riquadro, il dottor Dario Bartolucci, segretario provinciale del Fimmg

Nel riquadro, il dottor Dario Bartolucci, segretario provinciale del Fimmg

Pesaro, 7 ottobre 2020 - La chiamano ’sindrome post-covid’. Non è solo una debolezza cronica di cui risente - anche a distanza di mesi - chi è stato infettato dal virus e si è negativizzato. Ma sembrerebbe una maggiore propensione ad ammalarsi di nuovo, anche a livello polmonare. In assenza di studi prospettici, perché la nostra frequentazione con il virus è ancora troppo recente, ci sono al momento le testimonianze di chi proprio non riesce a voltare pagina, afflitto ancora da sensazioni di affanno, malesseri gastrointestinali, affaticamento. A cui si associa la difficoltà, da molti segnalata, di farsi visitare dal proprio medico. Ne parliamo con il dottor Dario Bartolucci, segretario provinciale del Fimmg (Federazione italiana medici di famiglia).

Dottor Bartolucci, le risulta che un numero maggiore di persone, rispetto agli anni scorsi, si rivolga al proprio medico per patologie polmonari? "Un piccolo aumento c’è stato. E riguarda sia le persone infettate dal covid che sono state ospedalizzate, sia quelle che si sono curate a domicilio. Ancora non abbiamo studi prospettici che ci possano dire se, dopo il covid, la risoluzione dei casi è completa o se ci siano esiti permanenti. per questo sarebbe importante fare una cosa".

Quale? "Sarebbe auspicabile che chi ha avuto il covid con problemi polmonari, rifacesse dopo due mesi una Tac per valutare se tutto è risolto. Ma questo non sempre si fa".

Cosa raccontano questi pazienti, negativizzati ma ancora non guariti? "Non stanno bene, a livello fisico ma spesso anche psicologico. A volte permangono delle difficoltà anche a livello respiratorio e motorio. Per alcuni l’ossigenazione del sangue non torna ai livelli pre-covid. A livello polmonare si tratta di tutta una serie di interstiziopatie, che si evidenziano con la Tac di controllo. Per questo sarebbe importante una sorta di ’recall’".

La stagione è ancora piuttosto calda. Cosa succederà a novembre/dicembre? "Succederà che non riusciremo a capire se siamo in presenza di un malessere legato alla stagione o se c’è il coronavirus. Per questo continuamo a ripetere di fare i vaccini anti-influenzali, tanto più che l’età è stata abbassata da 65 a 60 anni ed estesa ai bambini da 6 mesi a 6 anni. Non possiamo che augurarci che ci sia un incremento e anche che i vaccini siano disponibili".

Secondo uno studio britannico tornano ad ammalarsi più facilmente le persone in età lavorativa: circa 45 anni e perlopiù donne. Le risulta anche da noi? "Questo è difficile dirlo, perché non ci sono studi sul territorio. Ci sono solo sensazioni, al momento".

Bisogna anche dire che molti, che si trovano in queste condizioni, lamentano il fatto che non riescono a farsi visitare dai propri medici di famiglia. I suoi colleghi come si comportano, che lei sappia? "Noi siamo liberi professionisti, ognuno decide per sé. Per quanto mi riguarda posso dire di non aver mai smesso di visitare i miei pazienti. Ovviamente adesso sono cambiate alcune cose, bisogna essere prudenti. Non ci può essere la ressa nella sala d’attesa, bisogna prenotare la visita... La mia segretaria misura la temperatura con il termoscanner ai pazienti. Insomma, ci sono delle linee guida che, se rispettate, possono farci stare tranquilli. Ma riconosco che nel periodo più nero dell’emergenza, quando tanti colleghi si ammalavano anche gravemente, ci sono state delle ’forzature’".

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