Dante Alighieri tra cattivi e saltafosso

Quanta i – o meno – da mentovare. Le celebrazioni dantesche accompagneranno tutto l’anno 2021 e Medievalia proseguirà il suo viaggio nella “Comedia“. Persino Minosse, grande sovrano dell’isola di Creta, figlio di Zeus ed Europa, se ne sta all’Inferno a giudicare, senza possibilità di ricorrere in appello o cassazione. In forma di mostro orribile, ha una lunga coda; egli è cattiva coscienza che condanna i colpevoli di atti atroci (Inf. XX). Così Dante reinterpreta la figura dello spietato re. Da un sovrano a un signor sconosciuto, come Sassolo Mascheroni (de’ Toschi); quel fiorentino ebbe l’ardire di assassinare il nipote – che gli era stato affidato – con il fine, bieco, di sottrarre la sua eredità (Inf. XXXII).

E Niccolò de Salimbeni? Per gli amici: mani bucate, spendaccione incorreggibile, dissipatore di moneta, tasche rotte e insulto all’avarizia. Zio Paperone lo avrebbe condannato aspramente (altroché Minosse). Dante lo cita all’Inferno (Inf. XXIX) come fervente promotore dell’uso dei chiodi di garofano in cucina, una droga costosissima che ritroviamo nella “pasticciata“ locale, piatto delle nostre zone a base di carne che è un vero e proprio retaggio medievale. Tra quelli che ebbero problemi con il denaro c’è anche un tal Buoso da Duera, che fu signore della città di Cremona. Fervente ghibellino manovrò contro Carlo d’Angiò, ma il sovrano lo corruppe, lo comprò grazie al vil denaro e Buoso salutò allegramente i ghibellini appoggiando il corruttore (Inf. XXXII).

Un “saltafosso“ della politica del tempo. All’Inferno si aggirava poi Ciriatto (nome che potremmo dare a un gatto). Lo si incontrava a spasso nella quinta bolgia. Era un diavolaccio dotato di zanne importanti, come quelle della "tigre dai denti a sciabola" (Inf. XXII).

Daniele Sacco