Discobolo rubato a Pesaro, il mistero. Il Comune cerca l’unico teste vivente

L’uomo che vide tagliare le statue convocato in municipio

Pesaro, il discobolo emerse durante gli scavi per edificare  il palazzo  di vetro

Pesaro, il discobolo emerse durante gli scavi per edificare il palazzo di vetro

Pesaro, 6 dicembre 2018 - Un Lisippo.. tira l’altro. Perché nel 1964, con gli scavi per realizzare le fondamenta del cosiddetto palazzo di vetro di piazzale Matteotti, emerse il peristelio delle terme romane. Era ornato di statue in marmo. Ne vennero portate via due: una copia rielaborata del discoforo di Policleto e un’altra statua, sempre ad altezza d’uomo, dea con panneggio che venne poi esposta al museo di Toronto in Canada. «Ma veniva da una collezione privata. Per cui i dirigenti del museo sanno perfettamente da chi venne prestata», dice Giancarlo Ciaroni, antiquario pesarese attivo in città (Altomani) ma anche a Milano.

Un Lisippo tira l’altro perché molti protagonisti del ‘sacco’ di piazzale Matteotti sono gli stessi che si recarono a Fano per acquistare il Lisippo. Un attimo dopo: perché qualche ora prima il bronzo venne ceduto dai pescatori fanesi ai Barbetti di Gubbio.

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Ma come emerse la storia delle statue romane? Per la solita questione di soldi. Litigio tra l’antiquario rimanese Maurizio Balena, gran frequentatore di Pesaro, e l’antiquario riminese Piero Paolucci, cugino dell’ex ministro, di famiglia urbinate e i cui rami sono terminati non solo a Rimini, ma a Pesaro e a Marotta. Raccontò l’avvocato Cleto Cucci al Carlino, il quale sosteneva che si trattava di opere greche e non romane: «Me ne interessai a suo tempo perché nacque un contenzioso tra Paolucci e Balena. I due vennero nel mio studio perché volevano denunciarsi a vicenda perché i conti del passaggio di mano delle sue statue non tornavano...». La cifra? 750mila lire, dopodiché la copia del Policleto venne ceduta al museo di Basilea per 500 milioni di lire.

Perché riemerge questa storia? Perché a fine estate è stato convocato in Comune, per un colloquio, l’ultimo sopravvisuto di quella notte quando le statue vennero tagliate, caricate su un camioncino e quindi trasferite a Rimini. Mossa non fatta a caso, perché proprio Giancarlo Ciaroni al museo di Basilea parlò tempo fa con il direttore: «Il direttore mi disse: ‘Spontaneamente non le restituiamo, ma se portate una prova certa, una testimonianza certa del fatto che le statue erano state portate via da Pesaro clandestinamente, siamo disposti a restituirla all’Italia così come abbiamo fatto con altri reperti. Questo quello che mi disse il direttore del museo svizzero».

Poi continua Ciaroni: «Io non riesco a capire come l’unico testimone ancora vivente che potrebbe far restituire con le sue parole questa statua alla città, non prenda il coraggio e non renda testimonianza. Una cosa che non capisco. Se mi chiamano in procura? Vado di corsa», conclude l’antiquario. Per la cronaca, stando a Maurizio Balena che era lì quella notte del 1964, le statue che vennero alla luce erano tre. Così come, sempre secondo Balena – che è anche l’uomo che fece recuperare i quadri rubati dal museo di Urbino, tra cui la flagellazione di Piero della Francesca – da uno scavo fatto in un palazzo dietro la vecchia provincia, emerse anche una sarcofago di un bambino di epoca romana lavorato tutto in marmo. «Era bellissimo», disse. Ma lo disse una volta sola.

m.g.