Due donne si incontrano E da una lettera nasce tutto

Una pesarese tanti anni dopo parla con la moglie di ’Aldo’: che le racconta...

Due donne si incontrano  E da una lettera nasce tutto
Due donne si incontrano E da una lettera nasce tutto

Ecco la lettera che Maria Luisa Fornaci, deceduta nel 2011, scrive nel 2005 e che il fratello ha ritrovato quest’anno.

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Nell’agosto 1944 c’era la guerra. Io avevo 21 anni ed ero sfollata con la mia famiglia al di là di Monteciccardo. Erano gli ultimi giorni del dominio tedesco nella nostra zona. I nazisti avevano scavato una larga trincea lungo la vallata del Foglia, la linea Gotica: doveva servire a trattenere le truppe alleate che si stavano avvicinando e volevano aver tempo di ricevere i rinforzi dal Nord per formare la resistenza fino all’estate successiva. Ma i rinforzi non arrivarono in tempo e le truppe tedesche dovettero lasciare il territorio, seminando ferocia, terrore e distruzione in ogni dove. Così quando i tedeschi furono costretti ad evacuare S. Angelo in Lizzola, dove avevano un importante e strategico Comando, pensarono di mettere a ferro e fuoco il paese in modo che dalla devastazione totale non rimanesse alcuna persona e nemmeno pietra su pietra. Presero tutti gli abitanti e i numerosi sfollati e con la forza li costrinsero a ritirarsi dentro le mura del vecchio Castello, sistemarono una forte carica di esplosivo e accesero una lunga miccia che doveva far saltare tutto e tutti. In preda a grande disperazione, quella gente urlava, piangeva, pregava e attendeva la fine imminente.

Ma ci fu una persona che di sicuro fece questo ragionamento: certamente moriremo tutti. Allora vale la pena di fare un tentativo: meglio che muoia uno se dovesse andar male, che tutta questa gente, fra cui sua moglie e i due figli. Quell’uomo aprì la porta del Castello dalla parte dove c’era la miccia accesa, che nel frattempo avanzava verso il deposito di dinamite, e, con qualcosa, riuscì a tagliarla giusto in tempo per non far avvenire lo scoppio. Così tutti furono salvi e portarono nel cuore per molti anni il gesto di quella coraggiosa e sconosciuta persona che rischiò la vita e ridonò un po’ di serenità e speranza ai santangiolesi. Sono passati sessantanni da quel fatto impressionante che ha visto protagonisti gli abitanti e gli sfollati di S. Angelo in Lizzola e, ogniqualvolta capitava di ascoltare racconti di guerra generalizzati, dentro di me sentivo riapre quell’interrogativo che, ormai debolmente, affiorava. Ma non se ne era parlato per tanti anni, a chi chiedere? Dove cercare simile notizia? Era d’altronde una legittima curiosità. Tutto questo sembrava destinato ormai a rimanere senza risposta, come tanti altri episodi poi rimasti nell’ombra. Un giorno, era il giugno del 2004, dovevo andare in lavanderia e non volendo percorrere la solita strada perché molto soleggiata, passai per viale Trento. Nel marciapiede, aiutandosi con un carrello perché non riusciva a camminare, un’anziana signora cercava di fare dei passi. Io la conoscevo di vista e trovandomela davanti, le sorrisi e la salutai. Anche lei mi sorrise e vidi che era disposta a parlare. "Come va? Come sta? Mi conosce?" "’E lei? - mi rispose - io sono molto vecchia… ho 88 anni e…’ E mi raccontò tutti i suoi malanni. Io cercai di farle coraggio. Ad un tratto mi dice: ’Lei sa dove si trova S. Angelo in Lizzola?’ Ed io risposi di sì, c’ero andata tante volte. E lei: ’Mio marito ha salvato S.Angelo in Lizzola quando è stata minata dai tedeschi ed io ero tra quella gente disperata...’. Come? Questa donna, all’improvviso, senza averle chiesto niente, mi ha detto con tanta semplicità quello che avrei voluto sapere da 60 anni! Incredibile! Meraviglioso! Io rimasi esterrefatta e le feci un sacco di domande: lei, contenta di rispondere.

Suo marito si chiamava Temporin Benvenuto, ma era conosciuto col nome di Aldo, classe 1915, era deceduto nel 1980. Allora le chiesi: "Com’è che non è stato riconosciuto il suo gesto e che nessuno si è mai ricordato di lui? Gli è stato data una ricompensa, un attestato di benemerenza, un qualcosa che evidenziasse il suo operato?". La signora non seppe dire granchè, soltanto che le diedero allora un sacchetto di farina (che in quei giorni era preziosa) e nient’altro. La rividi ancora un paio di volte e poi non ebbi più sue notizie. Questa rivelazione insolita e il modo in cui è avvenuta, mi misero addosso una tale eccitazione che dovetti farne partecipi i miei figli e tutti quelli che conoscevo. Anche oggi, dopo parecchi mesi, provo gioia, soddisfazione, sorpresa, constatazione che non è mai troppo tardi per conoscere e comunicare. Pesaro, aprile 2005".

Maria Luisa Fornaci