ROBERTO DAMIANI
Cronaca

Ex Amga, l’abbandono. Doveva esserci il bosco per bonificare il suolo. Ci sono sassi ed erbacce

Il progetto di "scioglimento naturale" degli idrocarburi prosegue ma nessuno si sente in dovere di spiegare ciò che sta avvenendo. Arpam non rende noto l’esito delle analisi. Già spesi 300mila euro.

Ex Amga, l’abbandono. Doveva esserci il bosco per bonificare il suolo. Ci sono sassi ed erbacce

Ex Amga, l’abbandono. Doveva esserci il bosco per bonificare il suolo. Ci sono sassi ed erbacce

Chi per via Morosini, non se ne accorge nemmeno. Vede a destra un prato rachitico con l’erba incolta e tira dritto. Non sa che, in teoria, lì sotto sarebbe in corso un esperimento di bonifica "naturale" dell’area ex Amga dal costo di 300mila euro. Le piante messe a dimora nel 2020 dovrebbero sciogliere con le loro radici diversi strati di idrocarburi presenti da 80 anni essendoci stata lì sopra la centrale del gas prodotto con gli idrocarburi. Ma che avvenga lo "scioglimento" per via naturale degli idrocarburi questo è tutto da vedere. L’assessora all’ambiente Maria Rosa Conti spiega che "il "progetto di bonifica dell’Università della Tuscia sta andando avanti secondo il programma e che ci sono tecnici in Comune che lo seguono con attenzione". Secondo il progetto, sono stati piantumati 147 alberi di prima grandezza, 90 di seconda grandezza, 83 arbusti e 375 erbacce perenni. Secondo il professor Paolo De Angelis dell’Università della Tuscia che ha elaborato l’esperimento, "le piante cresceranno secondo la loro proporzione naturale, senza grossi costi per la comunità. Il parco inoltre avrà anche un laghetto a forma di foglia di quercia con ninfee. Il laghetto non sarà stagnante ma fatto di acqua corrente munta e mandata allo scarico, inoltre inseriremo piante depurative e di alta qualità estetica e pesci specializzati nel controllo delle zanzare. Nel 2021, quell’area diventerà un parco fruibile".

Siamo andati a vedere ieri mattina lo stato dei luoghi. Non solo è tutto chiuso e sprangato ma non ci sarebbe proprio niente da vedere o da percorrere. E’ tutto brullo, rinsecchito, incolto, in stato di abbandono. C’è anche uno strano rumore: si sente distintamente una specie di respiro della balena, un soffione che ad intermittenza di tre secondi emana uno sbuffo d’aria dal sottosuolo. Un residente dice: "C’è anche qualcosa di buono: non si sente più la puzza di qualche anno fa".

Proprio il fetore provocato dalla rottura delle vasche di idrocarburi nel sottosuolo durante i lavori di costruzione della terza torre fece scoppiare il caso. Era il 10 aprile del 2010, ossia oltre 13 anni fa. Da quel momento, i lavori vennero interrotti, partirono analisi chimiche, sequestri, inchieste, perizie, processi, condanne, rivalse, cause civili, Tar, Consigli di Stato, delibere, lettere di avvocati e minacce incrociate di risarcimenti danni milionari tra Comune e proprietari privati del terreno. I quali, hanno pagato i primi 700mila euro per far portare via gli idrocarburi inquinanti, ma poi si sono resi conto che la colpa era di qualcun altro e non la loro che avevano ottenuto il terreno in permuta proprio dal Comune in cambio dei prati del Miralfiore. Così il Comune ha iniziato a pagare la bonifica spendendo fino ad ora 3 milioni di euro. Di fronte a questo fiume di denaro, l’istituto superiore di sanità ha consigliato di provare la bonifica naturale perché altrimenti non sarebbe mai terminata. Così è entrata in campo l’Università della Tuscia col suo progetto di "fitorimedio, cioè piantumazione di alberi che nel lungo periodo, interagendo con i microrganismi del suolo, dovrebbero sanare in maniera definitiva il terreno nell’arco di 10 o 20 anni".

Nel frattempo, il problema ex Amga sembra rimosso da tutti, ad eccezione dei proprietari dell’area che vorrebbero riavere i loro soldi "dopo essersi fidati del Comune".