GRAZIA
Cronaca

Gli edifici raccontano il nostro tempo. Il Palazzo della Provincia segna un’epoca

Venne progettato nel 1965-’66 dall’architetto Filiberto Sbardella e dall’ingegner Leopardo Cioppi. Il suo aspetto particolare ne fa uno degli edifici più interessanti del Novecento a Pesaro, per questo va tutelato e riconvertito.

Gli edifici raccontano il nostro tempo. Il Palazzo della Provincia segna un’epoca

Calegari *

Ci sono edifici che conosciamo e frequentiamo da tempo, fanno parte delle abitudini collettive, ma che non ci preoocupiamo di conoscere a fondo finchè non sentiamo parlare di cambio di uso e persino di demolizione.

E’ il caso del Palazzo della Povincia in via Gramsci, ormai troppo vasto per le attuali necessità di quell’ente, per il quale si sta ipotizzando uno spostamento nell’edificio della ex Banca d’Italia. Non mi permetto di entrare nel merito delle ragioni tecniche che stanno alla base di questi progetti, vorrei però contribuire al dibattito con alcune precisazioni relative agli autori prestigiosissimi dell’edificio.

Il Palazzo della Provincia è un’espressione di architettura modernista, importante come testmonianza di un fondamentale periodo storico culturale e andrebbe considerato anzitutto in questa veste. Fu progettato nel 1965-66 dall’architetto Filiberto Sbardella (Palestrina 1909- Roma 1983) e dall’ingegner Leopardo Cioppi (Petriano 1922- Pesaro 2015). Una collaborazione casuale e insolita, che spiega le caratteristiche insolite dell’edificio nell’insieme dell’architettura del 900 a Pesaro. Sbardella è stato un protagonista eclettico: pittore, scultore, mosaicista, scenografo, impegnato come partigiano nella Resistenza, uomo dalle intense passioni politiche, di un vitalismo inquieto e poliedrico. Ha fondato e diretto diverse riviste, come architetto ha lasciato opere a Savona, Roma, Bergamo oltre che a Latina e a Chianciano terme, dove ha progettato gli impianti sportivi comunali.

Cioppi ha svolto la professione di importante ingegnere edile tra i più affermati di Pesaro, appassionato di soluzioni ardite in cemento armato, insegnante per molti anni all’Istituto tecnico agrario “Cecchi“ a villa Caprile. Nel palazzo della Provincia le loro originalità si fondono nell’incontro unico e occasionale. Il grandioso basamento, staccato con elementi di appoggio in acciaio dalla facciata in vetro continuo con le sovrastanti finestre a nastro, danno all’esterno dell’edificio un aspetto particolare tra le idee architettoniche del 900 a Pesaro e possono ricordare il palazzo della RAI in viale Mazzini a Roma, opera delll’architetto Francesco Berarducci. I torrioni in cemento armato, rivestiti di mattoni in cotto, devono ricordare (soprattutto per Leopardo Cioppi che me lo riferiva) le torri cilindriche di Rocca Costanza e stabilire una continuità tra il quattrocento e la contemporaneità, in linea d’aria e in linea concettuale, nella storia della città. All’interno, la scala in acciao e legno conduce agli uffici dei piani superiori, e risponde ad una circolarità razionale e dinamica.

La funzionalità è l’elemento dominante nella distribuzione degli spazi, senza concessioni ad orpelli, nel solo valore dell’architettura da far vivere in modo organico. E’ infatti l’architettura organico-razionalista, collegata all’espressionismo europeo, la definizione che possiamo usare per il Palazzo pesarese, e che possiamo riscontrare in misure più o meno accentuate anche in altre opere di Cioppi come le officine Vitali a Fano, i condomini di via Cavallotti e di largo Madonna di Loreto a Pesaro, la cappella delle Suore Missionarie della fanciullezza in via Flaminia a Pesaro. L’impronta espressionistica, evidente nella facciata a quattro piani divisi in due parti nel Palazzo della Provincia, richiama quella del tedesco Hugo Haring (1882-1958) e dell’italiano Giovanni Michelucci (Pistoia 1891-Fiesole 1990) autore anche della notissima chiesa dell’autostrada del Sole presso Firenze.

C’è poi la Sala del Consiglio Provinciale, usata abitualmente come sala per conferenze e convegni, intitolata a Wolframo Pierangeli già presidente dell’Amministrazione Provinciale. Si deve a un’altra grande figura di architetto: Celio Francioni (Pennabilli 1928-Pesaro 2002) protagonista di un vero ‘nuovo umanesimo’ in città, autore di progetti per molti edifici pubblici e privati, e restauri fondamentali come le chiese della Maddalena e dell’Annunziata.

Qualche esempio di edifici pubblici: a Pesaro il palazzo degli Uffici Finanziari, i grandi condomini di piazza Giovanni XXIII e di villa Ceccolini; a Urbino quelli in località Piansevero; a Fano il Laboratorio di Biologia marina. Nel 1973 Francioni ha realizzato la Sala del Consiglio Provinciale, avvolgente e funzionale, nella quale tornano materiali usati nel palazzo come il legno e l’acciaio specchiante in poderosissimi pilastri ondulati. Un razionalismo diventato per la città abitudinario, ma che andrebbe riletto culturalmente e inquadrato nell’insieme delle altre, dimenticate immagini architettoniche del 900 a Pesaro. E c’è poi da ricordare la presenza, nei sotterranei del palazzo, di frammenti di pavimenti musivi. Si tratta di mosaici appartenenti a una domus del I-II sec. d.C., con motivi geometrici a reticolato di quadrati e di cerchi allacciati, con tessere bianche e nere. Sono frammenti di motivi diffusi e ben noti in area marchigiana, a Pesaro riscontrabili nei primi due secoli dell’età imperiale romana. La loro presenza andrebbe collegata ad altre, ma questo è un discorso spinoso.

Mi limito a ricordare che sono stati pubblicati nel 2007 in un volumetto dedicato ai mosaci antichi della provincia di Pesaro e Urbino intitolata “Il segno e il mito“, per conto dell’Assessorato ai beni Storici, Artistici, Archeologici della Provincia.

* storica dell’arte