"I genitori di adesso? Divorati dall’ansia"

Arcangeli, pediatra storico di Pesaro, è in pensione: "Certi lavorano molto e hanno meno aiuto dai nonni. Una bronchite li manda in tilt"

"No, non sono andato in pensione perché non ci sono più bambini, ma perché ho raggiunto il limite di età", dice ridendo Bruno Arcangeli, 68 anni, laurea in medicina a Bologna e quindi specializzazione in Pediatria ad Ancona. Uno dei medici storici della città, con mille pazienti che andavano da pochi mesi a 14 anni. Dal primo giorno all’ultimo un via vai di mamme, genitori angosciati, bambini in lacrime. "Quando sei giovane riesci facilmente a resettare il cervello, ma col passare degli anni tutti diventa sempre più pesante", dice.

Genitori - figli, l'intervista al pediatra Arcangeli
Genitori - figli, l'intervista al pediatra Arcangeli

In pensione da quando?

"Dal primo di novembre ma non tutti i miei pazienti hanno avuto la lettera dall’Asur del nuovo medico di riferimento. Per cui ancora ci sono persone che chiamano e chiedono ed a tutti devo spiegare che sono in pensione. Quindi devo dare tutti i ferimenti del nuovo pediatra con l’orario delle visite. Un problema questo legato alla burocrazia. Ora molti sanno che non possono fare più riferimento a me. Ma non tutti...".

Due generazioni viste passare in ambulatorio. Cosa è cambiato nella professione?

"Direi che una delle cose che mi è rimasta più impressa è che l’ultima generazione di genitori è molto più insicura rispetto anche ai nostri genitori".

In che senso?

"Che si allarmano su tutto anche per un raffreddore o una influenza per cui senti e pensano che tutti i sintomi possano sparire il giorno dopo. E se questo non accade tornano di nuovo ed ancora di nuovo".

Invece la generazione prima di questa com’era?

"Le persone erano meno spaventate e quindi se uno aveva il raffreddore o l’influenza gli davano una aspirina e mettevano il figlio a letto in attesa che passava. Ora c’è più ansia".

Questo perchè?

"Due forse le cause che sono alla base di questo comportamento. Da una parte l’insicurezza ma dall’altro pesa anche il fatto che molti, lavorando, non sanno come fare con i figli anche perché molti di loro hanno a loro volta genitori che ancora lavorano e quindi non hai il sostegno del nonno. E questo è un problema reale".

I periodi più brutti in questi quaranta anni di professione?

"Uno è stato certamente quello che ho passato lo scorso anno di questi tempi, anche per la questione legata al Covid. Perché oltre a tutto il lavoro legato all’ambulatorio e quindi un via vai di persone continuo, arrivavo a casa la sera e dopo aver mangiato qualcosa, mi mettevo davanti al computer per smaltire tutte le ricette e quindi tutta la parte burocratica che comporta questo lavoro. Non solo andavo anche a vedere tutti i messaggini che avevo sul cellulare e che non ero riuscito a rispondere".

Un bel carico...

"Beh qualche giorno fa ero a cena con i colleghi e mi hanno detto che quello dello scorso anno è stato un periodo... calmo. Ora è molto peggio".

E l’inizio di carriera?

"Anche quello è stato un periodo molto importante perché hai timore di tutte quelle situazioni che ti arrivano davanti e magari escono dalla routine. Perché anche il lavoro del pediatra è molto legato alla routine. Però un conto è non capire una bronchite, un altro paio di maniche e se invece di fronte hai una patologia magari legata al cuore. Quindi si richiede un grande livello di attenzione. Poi c’è un’altra cosa...".

E sarebbe?

"Che rispetto anche ad una decina di anni fa il lavoro è aumentato notevolmente, ma soprattutto sotto il profilo della burocrazia, delle cose che devi fare al di là di una diagnosi o di una cura".

Fine carriera anche come segretario regionale dell’Ordine dei pediatri...

"Altro incarico molto impegnativo perché andavi a discutere in Regione. Da una parte portavi le esigenze dei colleghi e dall’altra parte trovavi esigenze che magari erano opposte. Un lavoro di responsabilità non da poco.".

E ora?

"Vado in vacanza. In montagna con gli amici"

m.g.