I mulini cancellati dalle vicende storiche riaffiorano grazie ai documenti ritrovati

Per secoli la fine di quello del Gargozzo a Urbania è stata un mistero. Ora si ricostruiscono i destini di impianti come quello del Rio Putrido

di Gianni

Lucerna

Durante la redazione del volume Ruote sull’acqua (2007), preceduta da una ricerca sui mulini idraulici della provincia di Pesaro-Urbino, nel comune di Urbania vennero rintracciati, seguendo le indicazioni della Carta Idrografica d’Italia (Ministero Agricoltura, Industria e Commercio, Roma, 1893) nove mulini: tre sul fiume Metauro e sei su rivi minori.

Per lo stesso territorio lo storico Corrado Leonardi, nel saggio Ville e comunanze nella corte di Casteldurante nei secoli XIII – XVI (Ancona, 1981), studiando i Catasti medievali della città (1371) individuò in soli due quartieri 12 opifici. Erano impianti alimentati da fossi, oggi non tutti rintracciabili sul territorio alcuni con riferimenti toponomastici sconosciuti sia nella cartografia storica sia in quella più recente, che utilizzavano per far girare le mole ruote orizzontali (simili a quelle risalenti all’antica civiltà dei Caldei) abbinate a un serbatoio d’acqua, il bottaccio, che permetteva la macinazione anche in caso di siccità. Più complicato in qualche caso è stato invece associare i toponimi antichi a quelli moderni e rintracciarne i luoghi, ma in genere si è osservato che i migliori salti d’acqua e in molti casi gli edifici dei mulini sono rimasti gli stessi dei catasti medievali.

Di alcune strutture elencate da Corrado Leonardi non si è trovata traccia: si tratta dei mulini di Montis Fortini e di Sancti Egidi, alle porte di Urbania; di Sancti Petri in Pleys; del piano Sancti Bartoli o in Vallis Furni in Candiliano. I motivi della loro scomparsa sono da ricercare nella diminuzione della portata dei fossi; nell’abbandono delle terre da parte degli agricoltori a causa di carestie e pestilenze, non ultimo il terremoto distruttivo del 3 giugno 1781. La novità è nell’individuazione l’individuazione del Molendinum Gorgozzi, sconosciuto sia alla Carta idrografica del 1893 che alla cartografia militare dell’Ottocento e del Novecento. L’edificio si trova infatti in via Porcellana 1, è stato trasformato in abitazione e non è più riconducibile alla funzione originaria per la mancanza di apparati idraulici e di corsi d’acqua visibili. Il fosso del Gorgozzo venne infatti tombato nel 1958 dal Ministero dei Lavori Pubblici, togliendo l’ultimo nesso percettibile tra il mulino medievale e il rivo che gli dava il nome.

La riscoperta è stata possibile grazie all’incrocio di tre differenti fonti: il testo pubblicato nel 2007 da Raimondo Rossi …Passeggiata di Giuseppe Raffaelli per la Città di Urbania con Carlo suo cugino, stilato tra il 1852 e il 1854, nel quale l’impianto è così citato: "Questo viottolo, posto tra la soppressa chiesa di san Rocco e quella di santa Maria Maddalena, mena non solo ai lavatoi e quel Molino lì sopra, ma si saliva pel medesimo a Castel delle Ripe…". Altrettanto esplicativa è la mappa di Porta Maddalena del Catasto Pontificio (1825), nella quale si apprende la forma e la posizione del bottaccio.

Ci sono poi foto storiche (1958) che mostrano le analogie esistenti tra la forma del complesso giunto sino a noi e la descrizione del Catasto medievale – ”cum domo et columbario” – oltre ad altri particolari non più visibili, quali: la collocazione del vano di scarico sull’alveo del fosso; la porta di accesso al vano della molitura finita sotto il piano strada per modifiche nel tempo dell’assetto viario; la disposizione trasversale dell’edificio rispetto alla direzione del rivo, tipica di molti opifici.

L’impianto macinava per gli abitanti di Castel delle Ripe (il borgo originario di Casteldurante) e della villa di Santa Maria Maddalena. La data di dismissione della molitura è antecedente al 1825, come si deduce dal foglio VI del Catasto Pontificio, che non riporta in pianta la presenza degli apparati idraulici. Altra vicenda particolare è quella legata al Molendinum de Penatis o Penattis (dal nome del proprietario originario) registrato nel Catasto medievale con la formula iuxta fossatum Reomay, ossia situato sul fosso col bacino idrico più esteso di Porta Nuova, il rio Putrido (per la presenza di zolfo), che sappiamo segnare anche il confine settentrionale tra Castel delle Ripe e Urbino, chiamato qualche secolo più tardi Riopuglio, odierno fosso Repuglie.

Nel 1673 (G. Paccasassi, 1912) quel confine venne modificato e uno spicchio di territorio sul tratto finale del fosso, su cui era fondata – guarda caso – l’antichissima e ricca abbazia di San Silvestro in Iscleto e il mulino in questione, entrò far parte della giurisdizione urbinate. La struttura venne successivamente censita dalla Carta Idrografica del 1893 come mulino Repuglie e da Ruote sull’acqua col soprannome dell’ultimo mugnaio, Trifoglio.

Per gli impianti rimanenti il riconoscimento è stato più facile grazie alla compresenza per alcuni luoghi di riferimenti catastali conosciuti e dei rispettivi fabbricati, anche se ridotti a rudere o trasformati. E’ questo il caso del Molendinum in Plano Sanctae Marie in Campolungo, corrispondente al Molinello, situato a breve distanza dalla chiesa omonima e alimentato dal fosso Isola, o Rimaia. L’Aquimolo di Sanctae Marie de Burgo Comitum serviva la valle solcata dal fosso Orsaiola. Il toponimo derivava dal nome del castello e della chiesa, scomparsi nel secolo decimo terzo nelle accanite lotte tra i Brancaleoni e i ghibellini urbinati. Il rudere nascosto in una radura su un forte declivio, compare all’altezza del podere Ca’ Sanghio, in corrispondenza della confluenza dei fossi che scendono dalle valli del Castello e della Cacciata.

La Carta idrografica lo registra come mulino Orsaiola, Ruote sull’acqua cento anni dopo lo indica come mulino Marchetti o più genericamente il Molino. Il bottaccio posto vari metri sopra l’edificio, probabilmente raccoglieva l’acqua dei due fossi citati ed era collegato al ritrecine tramite un lungo canale di legno. Parallelo al bacino del rivo Orsaiola si trova la valle solcata dal fosso San Giorgio, in questo luogo i riferimenti catastali attestano la presenza della Clusa molendini Sancti Georgii e un Acquimolus molendini Montis Roboni (toponimo antico del colle attiguo a Montis Sancti Zannis), Sancti Georgii; sono i mulini di Santa Sofia, rilevati sia dalla Carta citata che da Ruote sull’acqua.

Sul piano di fondovalle è poi registrato il Molendinum Johannelli voc. Fossum Ancelle, Plani Sancti Georgii, corrispondente al mulino Fangacci, l’unico apparato molitorio posto sul piano di San Giorgio, ma alimentato da un corso d’acqua diverso dai rivi San Giorgio e Orsaiola, il Fossum Ancelle, oggi fosso dei Fangacci. Il catasto antico riferisce di un complesso provvisto di aiali et colombario, molendino et macina ad guatum (un colorante di origine vegetale) e in effetti è giunto sino a noi quasi immutato col suo aspetto arcaico ma funzionale.

Infine l’ultimo impianto, distante dal centro abitato di CastelduranteUrbania e prossimo al Piano di Piobbico, è il Molendinum plage Sancti Vincentii de Candiliano. Si tratta del mulino di Ca’ Pallero (dal nome della famiglia Palera proprietaria nel XVIII sec. di quelle terre), unica struttura molitoria in quell’area di confine del territorio durantino. Le mappe del Catasto Ecclesiastico (1825) e la carta dell’Istituto Geografico Militare, Cagli Nord - Ovest, del 1898 lo descrivono come un opificio in batteria alimentato dal fosso omonimo.