Sulle pagine del Resto del Carlino del 31 maggio 1985, dopo la strage dell’Heysel, apparve una foto in cui Sergio Biagini, 78enne pesarese, era lì, schiacciato tra la folla, mentre cercava disperatamente di mettersi in salvo.
Era uno dei tanti. Uno dei troppi. Era stato dato per morto, travolto dalla calca, soccorso per miracolo da un ragazzo di Torino che, cercando la fidanzata tra i corpi, si accorse che anche lui respirava ancora. Lo caricarono su un’ambulanza insieme a lei. Era il 29 maggio 1985. Allo stadio Heysel di Bruxelles si giocava la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Un’ora prima del calcio d’inizio, centinaia di hooligan inglesi sfondarono le recinzioni e si lanciarono contro il settore Z, dove si trovavano anche famiglie e tifosi italiani. La folla, presa dal panico, fu spinta contro un muro che crollò. Morirono 39 persone. Oltre 600 i feriti. Sergio Biagini, partito da Pesaro con un biglietto regalato dalla moglie, si risvegliò solo ore dopo in un letto d’ospedale, con cinque costole rotte e la mandibola spostata.

"Alle undici di sera mi sono riavuto – racconta – e ancora sentivo la partita. Forse era la radio". Che cosa si ricorda di quei momenti? "Sono entrato tranquillo. Poi, dopo un’ora, un’ora e mezza è successo l’inferno. Tra petardi, sassi, non so cosa lanciassero. E la gente ha cominciato a spostarsi tutta. Io ero in mezzo. Non sono riuscito a scappare".
Qual è l’ultimo ricordo che ha prima di perdere conoscenza? "Di aver salutato a casa, nella mia testa. Ho pensato ai miei. Poi più nulla. Sono andato in coma. Dalle sette in poi per me è buio".
Com’è stato ritrovato? "Me l’hanno raccontato dopo. Un ragazzo di Torino aveva la fidanzata stesa vicino a me, nel campo. Lei respirava ancora. E ha notato che anche io respiravo. Così ci ha caricati entrambi su un’ambulanza della Croce Rossa. Eravamo lì, distesi con i morti. Ci avevano messi in fila insieme ai corpi".
Lei non ricorda nulla di quei momenti? "Niente. So solo quello che mi hanno detto. Ci hanno caricato come si buttano su i maiali nel porcile, ha detto quel ragazzo". Come stava al risveglio? "Avevo cinque costole rotte, la mandibola spostata. Tutto gonfio, nero. Nei corridoi la gente si girava dall’altra parte per non guardarmi".
Sua moglie sapeva che era vivo? "No. Ha saputo qualcosa solo la mattina dopo, verso le otto e mezza. Un nostro vicino parlava un po’ di francese, è riuscito a contattare un ospedale. Fino ad allora, niente. I conoscenti che erano partiti con me sono tornati a casa senza dirle nulla, per non farla stare in ansia. Ma poi, alle cinque del mattino, le hanno detto la verità: ‘Sergio purtroppo non l’abbiamo riportato’. È stato un colpo".
E poi? "Mia moglie è partita subito, con mio fratello. Quando ci siamo rivisti è stata una festa. Non ci sperava più".
Da dove era partito? "Avevo preso un aereo da Senigallia, il biglietto me lo aveva regalato mia moglie. Sono entrato allo stadio verso le cinque insieme ad altri due, arrivati dalla Sardegna, padre e figlio di dieci anni. Sono morti entrambi".
Cosa ricorda dell’inizio del caos? "Fuori c’erano tanti inglesi senza biglietto. Sono riusciti a entrare. Hanno cominciato a lanciare di tutto. La folla si è spostata tutta verso il muro che poi è crollato. Come una diga che si rompe. Io ero in mezzo e poi non ho visto più nulla. Ora per fortuna la possiamo raccontare. È stata dura, ma sono ancora qui".