Il soffio dell’Umanesimo urbinate

Grazia Calegari continua il suo viaggio sulle opere della città di Pesaro. Un invito a riscoprirle

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Prosegue il viaggio di Grazia Calegari sui monumenti e le opere di Pesaro.

Il Palazzo Ducale

e Rocca Costanza

Si arriva al XV secolo e la storia porta a grandi mutamenti di vita e di cultura: a Firenze nasce l’Umanesimo e anche a Urbino, alla corte di Federico di Montefeltro, avviene un incredibile incontro tra filosofi, letterati, pittori, scultori, non solo italiani ma anche fiamminghi.

Il Palazzo di Federico è un’infinita somma di esperienze, e l’Umanesimo urbinate si spalanca verso il paesaggio con una nuova, straordinaria ricerca di equilibrio tra uomo e natura. Sono Piero della Francesca, Francesco di Giorgio Martini, Luciano Laurana, Melozzo da Forlì, gli artisti fiamminghi, a spalancare al mondo questa grandezza altissima e semplice, cioè il valore dell’uomo, della mente e del lavoro, della possibilità di creare uno spazio che sia misura, metrica scandita con razionale sapienza.

A Pesaro il Palazzo Ducale di Alessandro Sforza si incunea nell’incrocio tra cardo e decumano, domina la piazza con le sei arcate e con i cinque “oculi“, lo stesso numero delle finestre del modello urbinate. Serenità, armonia umana e umanistica: il potere si affaccia imperioso sulla città ma manda messaggi di profondo valore morale e civile.

Così avviene nella rocca voluta da Costanzo Sforza figlio di Alessandro, e completata da Luciano Laurana: opera di fortificazione militare a scopo difensivo, ma in origine anche capolavoro di architettura dell’Umanesimo, alternanza simmetrica di torrioni cilindrici e di superfici lisce scandite dal profilo intermedio in pietra bianca. Solo per restare alla visione esterna, concentrando il significato originario, e depurando la vista dalle aggiunte, dalle manomissioni e dal degrado.

La pala di Giovanni Bellini

Verso il 1475 è arrivata da Venezia per gli Sforza la pala di Giovanni Bellini nella chiesa di san Francesco, oggi ai Musei Civici. E’ accaduto l’incontro tra l’Umanesimo di Urbino e quello di Venezia in questa splendida macchina d’altare che rifulge d’oro nella grande cornice intagliata e nelle circostanti e sottostanti piccole tavole. Una scena alta eppure dimessa, quella dell’Incoronazione della Vergine con la Madre e il Figlio che sono seduti sul trono coi corpi sghembi, e hanno quattro santi ai lati che sembrano distratti o assenti. E la grande luce derivata da Piero della Francesca esalta le vibrazioni dei colori lagunari, un concentrato di gocce di luce, anche oltre la visione della finestra dietro il trono.

Emozioni altissime e sacrali, coinvolte nella semplicità del sentimento dell’esistere: i personaggi sacri e noi che guardiamo, con la stessa varietà di sensi comuni e immutabili: l’affetto, la stanchezza, il sonno, il tepore della primavera, la quiete di una piazzetta con san Terenzio.

L’affresco del Duomo

E’ opera della bottega di Giovanni Santi con il ragazzo Raffaello? Nel 2000 è stato restaurato, liberato da pesanti ridipinture e riportato alla conoscenza, l’affresco con Madonna col Bambino fra i santi Pietro e Girolamo; in alto Cristo deposto, che era stato staccato nel 1938 da quello che restava della cappella fatta costruire nel 1477 dalla Confraternita degli Schiavoni, e spostato nel presbiterio, a sinistra per chi guardi l’altare maggiore.

Nonostante uno stato quasi larvale, si può leggere in quest’opera la presenza della bottega di Giovanni Santi e in qualche parte forse la collaborazione del giovane Raffaello. Il viso e i capelli della Madonna, quello del Bambino, l’angelo a sinistra, il corpo, il viso e i capelli di Cristo dimostrano una qualità molto alta, ed affinità stilistiche con le prime opere note di Raffaello, che consentono di pensare a una datazione attorno al 1498.

Giovanni Santi era morto nel 1494, la sua bottega attivissima continuava a lavorare, e Raffaello quindicenne può avere lavorato accanto agli allievi del padre (in questo caso almeno tre), intervenendo in quelle parti che dimostrano una qualità non riscontrabile in altri dipinti della bottega.

(seconda parte. Segue)