Pesaro, investimento della Curia in Liechtenstein: riavrà 200mila euro (su 600mila)

È il risultato è un mezzo miracolo. Infatti la finanziaria a cui la Diocesi fece bonifici a raffica tra il 2003 e il 2004 è da anni in liquidazione

Un’immagine del Principato del Liechtenstein

Un’immagine del Principato del Liechtenstein

Pesaro, 8 maggio 2022 - La Curia di Pesaro non ci sperava nemmeno più. Eppure i colpi di scena o se preferite i miracoli accadono. L’Arcidiocesi riuscirà a recuperare una parte dei soldi investiti sciaguratamente in Liechtenstein tra il 2003 e il 2004. Più o meno il 30 per cento, ossia 200mila euro contro i 616mila euro versati senza far troppe domande dall’allora monsignor Bagnasco e poi da monsignor Coccia.

Erano state sottoscritte 9 polizze vita con la spregiudicata "Valorlife", polizze intestate a varie parrocchie utilizzando i soldi in cassa, provenienti da affitti e donazioni. La finanziaria, alla scadenza dei contratti non restituì nulla ai clienti e dunque nemmeno alla Curia. Ma dal 2010, l’Arcidiocesi non ha mosso foglia per recuperare il denaro, forse timorosa del clamore o convinta di non ottenere nulla. Si è svegliata dal torpore nel 2020, incaricando l’avvocato Tommaso Patrignani di Pesaro nell’avviare una causa civile contro il liquidatore della Valorlife visto che lo stesso legale aveva vinto in precedenza alcune cause in Romagna per conto di clienti truffati.

E ora, prima della fine della causa la cui ultima udienza è prevista per il 9 novembre prossimo, ecco la svolta con l’offerta di restituire il 30 per cento dopo vari rifiuti per cifre sotto al venti per cento del versato. Ma se l’offerta è stata accettata in cambio della rinuncia alla causa con una firma formale del Consiglio diocesano, questo non vuol dire che il braccio di ferro si è concluso. Ora la Valorlife deve inviare il bonifico corrispondente sul conto della Curia e fin quando non lo farà, molti incrociano le dita.

Il capitombolo finanziario ha avuto inizio nel 2003, esattamente il 2 settembre di quell’anno con l’invio alla Valorlife di un bonifico da 150mila euro, seguito il 26 novembre da 125mila euro, il 12 gennaio 2004 da altri 64mila euro, e poi da 100mila euro, il 27 gennaio da 40mila euro, il 7 luglio (con monsignor Coccia) 65mila euro, il 9 agosto 38mila euro, e nello stesso giorno altri 34mila euro per un totale di 616mila euro. Il contratto di accumulo aveva valore 6 anni, al termine del periodo il denaro doveva essere trasformato in rendta per la Diocesi. Che non è mai arrivata perché la Valorlife nel frattempo era finita sull’orlo della bancarotta con sequestri e inchieste per il metodo spregiudicato di raccolta dei soldi.

La Diocesi, nel 2020, commentò i fatti dicendo che "...monsignor Coccia ha fatto il suo ingresso in diocesi il 31 maggio del 2004 e si è trovato ad approvare un’operazione iniziata nel 2003 e presentata dagli amministratori del tempo come sicuramente affidabile". Ed inoltre "...monsignor Coccia non aveva motivi per dubitare (come non li avevano i suoi predecessori) anche perché ancora non c’erano segnali evidenti della inaffidabilità delle polizze proposte da un intermediario finanziario pesarese, che ha proposto polizze vita mentre si trattava di investimenti speculativi".