
Da sinistra Irene, Francesco e Gioia
di Benedetta Iacomucci"Ciao Irene sono Francesco, il Papa". Sono passati cinque anni da quella chiamata. A riceverla fu Irene Mercuri, oggi 39enne di Montecchio, assistente sanitaria all’Ast. "Eravamo in pieno Covid, durante la prima, drammatica ondata. Mi sentivo smarrita, non trovavo un senso a quello che ci stava succedendo, soprattutto alla sofferenza di Francesco Foschi, un paziente al quale mi ero legata tantissimo, ma che non sapevo se ce l’avrebbe fatta". Così Irene scrisse una lettera e la inviò al Papa, intingendo la penna nel dolore e nella rabbia. "Era una sorta di sfida: mi dicevo, ’se non ce la fa lui, non ce la farò neanche io’. Avevo messo in quelle righe tutta la mia frustrazione". E il papa la raccolse su di sé, con una chiamata che arrivò sul telefonino di Irene, da un numero sconosciuto, proprio mentre si trovava in corsia. E la speranza si riaccese. Mentre oggi, quel senso di smarrimento, non trova supporto.
"Io non sono mai stata una fervente cattolica – confessa Irene – ma in quel momento avevo sentito che solo a lui potevo confidare tutto il mo sconforto. Gli chiedevo di pregare per Francesco, era una cosa innaturale che lui rischiasse così tanto: l’avevano intubato ed estubato tante volte, era un’ingiustizia che non riuscivo a tollerare. Volevo che sopravvivesse e portasse a termine il progetto di vita che aveva con Gioia, che oggi è sua moglie, e con la quale ha un bambino ed è in attesa della seconda". Quel legame, cementato dalla benedizione del pontefice, è diventato fortissimo, durante il ricovero e anche dopo: "Quando Francesco e Gioia si sono sposati mi hanno invitato al matrimonio e mi hanno in seguito chiesto di essere la madrina del loro bambino. Sono state le prime persone con cui ho condiviso le emozioni della notizia del decesso".
Emozioni confuse, come fu la prima reazione nell’apprendere di parlare con il Papa in persona. "Giravo con il telefono in tutte le stanze – ricorda Irene –, mettevo il vivavoce per avere dei testimoni, avevo paura che non fosse vero. E invece era successo, anzi, a un certo punto mi sciolsi e cominciai a chiedere al Papa di chiamare Francesco, anzi la sua fidanzata... Insomma, a ripensarci forse fui fin troppo diretta". Ma da allora, in reparto, qualcosa cambiò. "Avevo chiesto al Papa una preghiera affinché Francesco potesse realizzare i suoi progetti di vita, cosa in effetti avvenuta. Ma oltre a questo il gesto del Papa diede una nuova motivazione a tutti, diede a noi sanitari una carica fortissima per superare quel momento di sconforto. Diede un senso a quello che stavamo facendo". Ed oggi, cosa resta? "Un profondo senso di smarrimento. In un contesto mondiale di guerra, la sua voce avrebbe potuto dare ancora tanta speranza".