’La Gazzetta’, opera che piace a tutti "Sognavo di farla già al Conservatorio"

Il direttore Carlo Rizzi, alla sua nona volta al Festival, è la bacchetta della seconda produzione del Rof "E’ una sorta di ’greatest hits’ delle musiche di Rossini. I professori dell’Osr? Tutti bravi e disponibili"

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di Claudio Salvi

Il Rossini Opera Festival ama sparigliare le carte anche se meno di un tempo. Se la musica di Rossini e il suo rigoroso rispetto filologico qui a Pesaro godono la giusta consacrazione, gli allestimenti delle opere continuano a dividere. E d’altra parte è anche questa la bellezza di un festival. Se una volta il pubblico del Rof amava dividersi sulle regie fin quasi alla rissa, oggi sembra prevalere il dissenso silenzioso. Il mugugno che non si espone più nei loggionistici buhh. E dunque tra il discusso allestimento di Otello, la regia ridondante e colorata de Le Comte Ory, la sola Gazzetta (domani sera in replica al Teatro Rossini), sembra aver messo tutti d’accordo. D’altra parte si tratta di un riallestimento ma musica e regia sembrano - come in nessuna delle altre produzioni in cartellone quest’anno - andare in perfetta sintonia. Dei meriti del regista Marco Carniti abbiamoscritto. Ma il successo di questo spettacolo va diviso con Carlo Rizzi. La bacchetta che ha diretto con sapienza e consumato mestiere, l’Orchestra Sinfonica Gioachino Rossini.

Carlo Rizzi di nuovo al Rof con la Gazzetta...

"Ho accettato con particolare entusiasmo. In primo luogo perché ho realizzato un sogno: la volevo fare fin dai tempi del Conservatorio. Ed avevo anche provato a farla con alcuni amici allievi. Eravamo arrivati a fare alcune prove poi invece con mio grande rammarico non se ne è fatto più nulla. Ma mi era rimasto il pallino. In secondo luogo perché quest’opera contiene almeno il 33 per cento di cose che Rossini aveva già scritto: la sinfonia della Cenerentola; il quintetto del II atto dal Barbiere di Siviglia, il terzetto da La Pietra del Paragone e Il Turco in Italia. Insomma quei famosi autoimprestiti che rappresentano una sorta di greatest hits rossiniano: un’opera divertente, frizzante direi spumeggiante".

Su cosa ha dovuto lavorare in particolare?

"Sui recitativi. Li abbiamo provati e riprovati con cura meticolosa. Le arie di per sé sono molto statiche e tutto il senso del testo e della vicenda sta proprio nei recitativi, quasi tutti in napoletano antico. Non era facile dargli una sorta di comprensibilità".

Nove presenze al Rof...

"Sono tornato con entusiasmo anche se non avevo mai diretto al Teatro Rossini. Sono sempre stato all’Arena che ha un uso degli spazi e dell’acustica totalmente diversi".

Ci racconti del suo lavoro con il regista Carniti...

"L’idea visiva c’era già, dato che è una produzione già messa in scena. Ma con Marco abbiamo lavorato molto sulla psicologia dei personaggi ed in particolare sulla napoletanità di Don Pomponio".

E con Lepore è stato gioco facile...

"Un piacere, quasi un divertimento. Non solo è napoletano ma è stato bravo a sottolineare le sfumature linguistiche, i doppi sensi. L’ho lasciato fare visto che parliamo di un ottimo artista che sa fare il suo mestiere".

E con l’Orchestra Rossini come è andata?

"Era la prima volta che la dirigevo. Sono stati tutti molti disponibili e bravi. Con loro ho insistito molto sul fraseggio, sullo stile e sul ritmo. Ho spiegato che il motore della musica è come quello di una Ferrari e che tutti, anche gli strumenti che hanno una scrittura secondaria e che fanno a volte un lavoro ritmico ripetitivo, sono parte essenziale di quel bolide".

Cosa le piacerebbe dirigere al Rof?

"Magari il Rossini serio. Ermione ad esempio"