Al gioco dell’Aita di questa sera ci sarà per la prima volta anche una “guarnigione“ spagnola. Il coordinatore della macchina che sta dietro alla rievocazione di questa competizione a metà tra una lotta e un gioco, nata per allenare le truppe in tempo di pace, è Gianluca Ceravolo, che festeggia i 10 anni da giocatore.
Come avete trovato la compagine iberica?
"Andando in Spagna ogni tanto per lavoro, ho conosciuto un collega fisioterapista che come me pratica ju jitsu e praticava rugby. L’ho invitato e lui ha invitato a sua volta alcuni ragazzi. Per noi è un grande piacere giocare assieme, abbiamo stretto una grande amicizia, in questi giorni sono persino ospiti a casa mia".
Si va verso un gemellaggio?
"L’idea c’è. Potrebbero venire ogni anno cinque o sei giocatori da Cadice".
Hanno imparato facilmente il regolamento?
"Sì. Non è difficile: per fare punto bisogna prendere la bandiera della squadra avversaria, posta a due metri e settanta centimetri di altezza. Ma essendo un gioco marziale bisogna impedire agli avversari di avvicinarsi alla bandiera tramite placcaggi, spinte e dominanza dell’avversario".
Cosa è proibito?
"Pugni, calci, gomitate, ginocchiate. Non si può colpire il collo o la testa, a pena di espulsione. Mentre si può mandare “in pausa“ un avversario spingendolo fuori dalle linee laterali o dentro le due piscine piene d’acqua. Ci sono sette arbitri in campo a valutare tutto".
Quali sono i tempi?
"Due da 22,5 minuti con un quarto d’ora di pausa: un’ora in totale. Quando si fa punto i giocatori espulsi tornano e si gioca in 13 contro 13".
Avete delle riserve?
"Sì, la rosa è di 18 per squadra, per consentire dei cambi volanti. Il capitano dei blu, i nobili, sono io mentre i gialli (popolani) sono guidati da Simone Paolucci".
Il gioco è stato adattato alla modernità?
"Sì, un tempo venivano utilizzate anche armature, mazze e guantoni, ed erano consentiti calci e pugni. Sicuramente non più proponibile così".
Oggi c’è un clima di fair play…
"C’è molto rispetto tra di noi: siamo tutti amici, rugbisti, ex rugbisti o praticanti di arti marziali che ci alleniamo insieme durante l’anno".
Da dove provenite?
"Per la maggior parte dal territorio di Urbino e dalla zona del Montefeltro; ci sono alcuni dalla Toscana e dalla Romagna, oltre alle new entry spagnole".
Le prospettive per il futuro?
"Mi auguro che si avvicinino sempre più giovani urbinati. È una tradizione che rappresenta le nostre radici".