L’inquieta leggerezza di Giuseppe Papagni

Nella Galleria Albani di Urbino fino al 14 giugno in mostra le opere dell’artista. Un viaggio verso la ricerca degli equilibri interiori

L’inquieta leggerezza di Giuseppe Papagni
L’inquieta leggerezza di Giuseppe Papagni

L’“Inquieta leggerezza“ di Giuseppe Papagni è quella che si può percepire appena si entra nella Galleria Albani di Urbino (a Valbona, a due passi da piazza della Repubblica). Come avviene nel lavoro di ogni ricercatore dell’equilibrio Zen, le opere di Giuseppe Papagni (anconetano di nascita – 1940 – ma di fatto fanese da decenni) sono sempre incentrate sul principio che lui stesso proclama nel catalogo della mostra: "In arte ciò che è velato ha più forza, prima viene il vuoto poi il pieno, perché le cose in sé non hanno identità, esistono in quanto vuote".

Questa lotta tra vuoto e pieno, tra visibile e velato – che nella produzione scultorea fa anche ricordare uno dei suoi Maestri, Alexander Calder, ma ad Urbino espone più che altro opere grafiche e pittoriche – è il filo conduttore del clima di tensione intellettuale che lui ha sempre vissuto anche fisicamente. Per sua stessa ammissione ha una consapevolezza acquisita dai suoi Maestri (aggiungiamoci anche Fausto Melotti e Bruno Munari, ma che si sappia lui fu anche allievo di Giorgio Morandi); la sua ricerca non è un percorso né facile né con una meta finale. Questo spiega anche il filo conduttore dei titoli di alcune sue mostre: se questa è l’Inquieta leggerezza, diverse sue esposizioni dal 2004 si sono intitolate Fragili. Gli equilibri precari sono infatti sempre fragili, ma l’inquieta leggerezza (come quella di questa mostra) è quella che è percorsa dal brivido elettrico di una tensione che non trova pace. Ascoltare quello che l’autore afferma non guasta, è vero che l’artista parla con l’opera, ma è anche vero che le sue scelte possono aver bisogno di un piccolo lumino acceso da lui stesso. Dice Papagni: "La storia dell’arte non è altro che la ripetizione, l’innovazione e la contraddizione dei codici precedenti". Questa chiave di lettura apre un mondo. E’ così che Attorno all’uovo (un disegno del 1991) Papagni è già di casa a Urbino, si pensi a Piero della Francesca e alla Pala dei Montefeltro. La Mappa Lunare! (opera su metallo del 2002) è non solo nella luce materica che emette – degna di un “culto selenita“ – una ricerca tra visioni e intuizioni, si contrappone alla Mappa Solare del 2013, un’opera che a sua volta parla una lingua che ricorda Aztechi, Maya, tutti i popoli che ci sfuggono (perché crediamo di conoscerli, ma di questi abbiamo solo rappresentazioni iconiche).

Il percorso di Papagni è stato sicuramente iniziatico, è un autore che va verso una luce, cerca un ordine dal caos, ma si ferma un attimo prima dell’equilibrio. Chi lo conosce un pochino come il sottoscritto, sa che con lui bisogna andare sempre prudenti nel dirgli qualunque cosa. La sua tensione verso il senso del lavoro che compie, diventa energia cinetica che investe l’interlocutore se non c’è compatibilità istantanea.

A farci riflettere sulla sua opera è il critico d’arte Bruno Ceci, che ha curato questa mostra urbinate. "I suoi lontani dipinti di matrice informale già si connotano come l’iniziazione al segreto di una promessa, la decisione a trovare se stesso, l’annuncio di una diversa possibilità di vita, l’approssimarsi di quei momenti in cui sogni e pensieri vengono a visitarci e l’anima appare allora in festa, mettendo conto di vivere".

In effetti, Papagni non ci aiuta a sollevarci dalle afflizioni quotidiane, riesce a farci scontrare con il disagio che abbiamo dentro. A qual fine, mi chiedo? Credo per depurarci, per arrivare – come nella sua scultura Verso il cielo fatta lo scorso anno – ad uno stato di consapevolezza. Papagni salva dunque solo se stesso. Chi visita la mostra (fino al 14 giugno), invece, deve faticare da solo per trovare la propria strada.

Giovanni Lani