"Ma se gli avvocati stilano le ’pagelle’ è un fatto positivo"

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di Maurizio Paganelli *

Aderisco ad una delle organizzazioni sindacali che ha indetto lo sciopero di lunedì prossimo. Ho deciso di aderirvi, anche se ritengo la riforma della giustizia che il Parlamento sta approvando, meno negativa di come viene rappresentata da molti. Vero, ci sono aspetti critici. In particolare, la possibilità per il magistrato di passare una sola volta durante la carriera, dalla funzione giudicante a quella requirente (Pm) o viceversa, è irrazionale. Può accadere che un magistrato, dopo aver cambiato funzione, si accorga di non essere vocato per essa. La riforma lo costringe a restare per sempre in quella funzione, con evidente svantaggio per il magistrato e per la collettività. Altre norme non produrranno effetti dirompenti. La partecipazione degli avvocati alle valutazioni di professionalità dei magistrati è un fatto positivo. Attualmente l’organo deputato a valutare i magistrati in sede locale è composto solo da magistrati. Ciò garantisce autonomia e indipendenza, che sono valori fondamentali per tutti. Però, in un tale sistema il pericolo di chiusure corporative è evidente e costante. Per evitarlo o ridurlo è necessario che tra i valutatori ci sia la voce degli avvocati che quel magistrato, vedono quotidianamente all’opera. L’indipendenza e l’autonomia non sono in pericolo ed è importante che gli avvocati comprendano l’importanza del ruolo che avranno nei consigli giudiziari, superando ogni possibile timore riverenziale per il “controllo di qualità” dei magistrati. La valutazione su base statistica dell’esito delle decisioni dei magistrati non deve spaventare: ciò che il progetto di legge considera è la “grave anomalia”, ossia un andamento molto diverso dal normale. Per esempio, se in un certo settore le sentenze sono ordinariamente riformate nel 30% dei casi, mentre al magistrato in valutazione ne annullano il 60%, è giusto che si comprenda il perché. Il fatto che attualmente non si disponga di un “termometro” di questo tipo non è una buona cosa. La riforma assegna ai dirigenti il potere di fissare obiettivi di rendimento e direttive vincolanti per i magistrati. Da alcuni ciò è percepito come una “deriva produttivistica” e come la “gerarchizzazione” del loro lavoro. A mio parere queste preoccupazioni sopravalutano l’impatto delle norme che, non si dimentichi, operano in un contesto di “autogoverno”. La magistratura esprime un “potere” ma anche un servizio che, per funzionare bene, deve essere organizzato in modo competente e non improvvisato. Il ’fascicolo delle performance’, come la previsione dei “risultati attesi”, sono strumenti di gestione, che producono risultati positivi o negativi a seconda di come sono utilizzati. La soluzione sta nella capacità del Csm di scegliere bravi dirigenti. Per farlo, è necessario che sia verificata anche la capacità organizzativa dei magistrati.

* Giudice del lavoro, tribunale di Pesaro