Pesaro, mamma chiede di riavere le sue due figlie

Le sono state tolte nel 2013 in base ad un tema in classe giudicato equivoco. Da allora, una donna di 34 anni, straniera, lotta contro tutti

L'appello della mamma: "Ridatemi le mie figlie"

L'appello della mamma: "Ridatemi le mie figlie"

Viene dalla Costa d’Avorio, ha 34 anni ed abita a Pesaro, dove vive contando su un lavoro stabile. La società non le ha regalato niente, ma la vita sì: due figlie di 14 e 15 anni, che ha avuto con un uomo italiano poi sparito. Ma quelle ragazze, per un tema in classe del 2010, dove una delle due raccontava di aver rivisto il padre che aveva passato la sera in casa per poi dormire nel lettone insieme, ha messo in moto una procedura che ha portato le autorità ad allontanare le figlie dalla madre per affidarle ad una famiglia con la contestuale sospensione della patria potestà a padre e madre. Da allora, sono passati sette anni, quella madre protesta. E’ venuta in redazione accompagnata da una insegnante di scuola primaria che ha una figlia della stessa età di quella della 34enne, non per attaccare l’assistente sociale o il tribunale dei minori o chissà chi, ma per dire che esiste ed ha dei diritti.

"Chiedo – dice la mamma di cui non riveliamo il nome per proteggere le figlie – che le mie ragazze possano tornare con me, dove vivo da sola grazie ad un lavoro in fabbrica che svolgo da anni con contratto a tempo indeterminato. Io ora le vedo due volte a settimana ma in realtà non c’è un calendario preciso, ma sono costretta a stare lontano da loro per tanti, troppi giorni. Loro stesse vogliono stare con la loro mamma. Chiedo a chi di dovere di fare tutti gli approfondimenti che vogliono ma di ridarmi le mie bambine insieme alla patria potestà. Non ho commesso reati, lavoro duramente, sono carteggiatrice in una fabbrica dopo aver fatto la lavapiatti, l’aiuto cuoca, la commessa, l’operaia. Voglio veder crescere le mie figlie e sono disposta ad aprire la porta della mia casa a qualunque ora per qualunque ispezione. Ma ridatemi le mie bambine".

Intanto però c’è un’altra incombenza: "Le amichette di mia figlia più piccola andranno in vacanza sulle Dolomiti l’otto agosto e io ho già versato la caparra di 100 euro. Sarebbe la prima vacanza insieme in compagnia della parrocchia. Ho fatto domanda all’assistente sociale di Pesaro ma non ho avuto alcuna risposta. I messaggi vengono letti ma ignorati. Io credo che questo non sia giusto. Chiedo una risposta, chiedo rispetto e non credo di avere meno diritti di una donna italiana nelle mie condizioni. Io sono sola, lavoro, ho una casa ma non posso avere le mie figlie che mi sono state tolte dal 2013. Al tempo non avevo un lavoro stabile, mi serviva aiuto, qualcuno ha anche approfittato di me con la scusa di aiutarmi e ho fatto una denuncia. Lo Stato decise di affiancarmi una famiglia affidataria. Ma ora devo tornare ad essere libera di abbracciare ogni momento le mie figlie di 14 e 15 anni. E chiedo come sia possibile dire che io non debba avere la patria potestà se l’ultima volta che mi ha visitato una psicologa è stato nel 2015. Da allora, non mi ha visitato nessuno né qualcuno ha verificato dove vivo e cosa faccio".

Dice l’amica insegnante: "Noi educatori o assistenti sociali dobbiamo essere coscienti, a tutti i livelli, che le persone non sono oggetti. Vanno aiutate, capite, accompagnate in un percorso di crescita e di emancipazione persino dalle proprie paure. Non si può tacere di fronte a reiterate richieste di colloqui, servono risposte. E, in questo caso siamo state costrette a venire al Carlino per averne"

ro.da.