Manicomio San Benedetto Pesaro, crolla tutto nella totale indifferenza

Visita ‘guidata’ al solo piano terra tra macerie, saccheggi e muffa

Ciò che resta del manicomio San Benedetto (Fotoprint)

Ciò che resta del manicomio San Benedetto (Fotoprint)

Pesaro, 19 agosto 2019 - E' chiuso da 38 anni. Era il 1981. Da quel momento, un robusto catenaccio sbarra l’ingresso del Manicomio San Benedetto, in fondo al Corso XI Settembre. Era stato costruito nel 1829 per dare un tetto e un’assistenza umana alle persone considerate pazze. Lo diresse anche il celebre studioso di criminologia Cesare Lombroso. Dopo 152 anni di servizio, il manicomio venne chiuso per la legge Basaglia e da quel momento lasciato nell’abbandono.

Non del tutto: ci vivono ancora con soddisfazione colonie di piccioni e sicuramente battaglioni di scarafaggi. Per gli umani, se ci tengono alla testa, è consigliabile girare al largo. Si sentono scricchiolii ovunque. Che possono avere due significati: presenza di travi di legno marcio ma stabile o instabile. Più probabile il secondo caso. Non sono mancati in questi anni i convegni su come recuperare il San Benedetto, gli studi filologici e i sogni ma la realtà è una sola: il vecchio manicomio può venir giù da un momento all’altro. Il tetto è già quasi completamente crollato, i muri sono coperti di muffa, piove ovunque, la vegetazione spontanea ha sollevato i camminamenti, chi si avventura all’interno lo fa a suo rischio e pericolo seppur in nome della conoscenza.

Come è accaduto qualche giorno fa quando il presidente del tribunale di Pesaro Giuseppe Fanuli accompagnato da vari collaboratori e scortato da dirigenti dell’Asur, ha chiesto e ottenuto il permesso di poter visitare ciò che rimane del manicomio San Benedetto per dei propri studi e ricerche. Armati di caschi bianchi e gialli, la delegazione ha potuto visionare solo il piano terra, mentre il primo piano è assolutamente impraticabile per le travi dei solai che potrebbero cedere di schianto perché intrise d’umidità.

Si entra da una porticina del cortile laterale, dove ora è stato ricavato un parcheggio per pochi. Ci si infila in corridoi coperti di macerie, vetri rotti, fogli provenienti da chissà quale registro. La cappella è distrutta perché il tetto ha ceduto, i termosifoni in ghisa sono stati sradicati e rubati. A terra, spunta un registro con l’annotazione degli ingressi e delle uscite degli anni ’70. Non si faceva differenza tra malati e dipendenti, morti e vivi. Ha detto il presidente del tribunale Fanuli riponendo il caschetto di protezione: «E’ un pezzo di storia che fa parte del patrimonio della città. Ma è anche un monumento al dolore, alle tante persone che qui hanno consumato la loro vita. Veder seppellito tutto questo dall’oblìo è ingiusto».