
di Benedetta Iacomucci
Il dottor Moreno Cicetti, quasi 63 anni, di cui una buona metà trascorsi in corsia, dal 2016 direttore della Chirurgia generale a Urbino, era in quella fase della carriera professionale e della vita in cui il pensiero di riporre il bisturi è ancora sbiadito. Fino a qualche settimana fa, quando tra colleghi si è cominciato a parlare della norma inserita in finanziaria, ancora non definitiva, che nella sostanza implica – per i medici ospedalieri come per altre categorie professionali – un taglio sostanzioso dei futuri assegni pensionistici. Secondo i sindacati si tratta di perdite che oscillano tra il 5 e il 25%. Una prospettiva che starebbe svuotando gli ospedali, con professionisti già con un piede sulla porta, in un sistema già in affanno.
Dottor Cicetti, anche lei è con un piede sulla porta?
"Sinceramente non avevo fatto progetti. Ora ci penso".
Qual è stato il suo primo pensiero?
"Non vorrei che passasse il concetto che la questione riguarda solo noi medici, anche perché in realtà sono interessate anche altre figure e professioni, che oltretutto toccano aspetti fondamentali della nostra vita: la salute, la scuola... Insomma, magari la gente dice: ’tanto i medici guadagnano tanto, che mi importa della loro pensione’. Ma il punto è un altro".
Parla della fuga dai reparti, che i sindacati sostengono essere già in atto in tutta Italia?
"Di sicuro c’è una carenza di medici in giro, e quelli che ci sono bisogna tenerli stretti. Queste norme rappresentano un altro dei fattori che possono influenzare il sistema. Se poi aggiungiamo i turni massacranti, l’inevitabile risvolto medico legale, uno si fa due domande. D’altronde i medici che si scrivono alla specializzazione in Chirurgia sono sempre meno".
Ma perché il governo dovrebbe avercela con voi?
"Credo si tratti semplicemente di far quadrare i conti. Ma con una misura temporanea, non strutturale, e limitata a un gruppo di persone, non credo risolverà granché. Anche perché non c’è stato nessun confronto con la categoria. E’ una scelta calata dall’alto".
Amareggiato?
"Io sono un medico e nel mio lavoro so di avere molti doveri ma anche diritti. Le regole, che hanno a che fare con i diritti, non possono essere cambiate dalla sera alla mattina".
I colleghi che dicono?
"In realtà lavoro con medici molto giovani, che ancora non pensano alla pensione. Anch’io quando ero giovane non pensavo alla mia pensione, pensavo solo di fare il mestiere più bello del mondo. E l’ho fatto in maniera totalizzante, rinunciando a tante cose"
Lo pensa ancora che sia il mestiere più bello del mondo?
"Assolutamente sì, rifarei tutto".
I sindacati dicono che vi porteranno in piazza. Lei lo farà?
"Per il momento aspetto di vedere come evolve la situazione. C’è stata un’apertura da parte del governo, si parla di un maxi-emendamento ad hoc. Vedremo come va a finire. Poi si sa, uno decide anche in base alla propria situazione familiare, ma in generale c’è del malcontento".
Lei ha mai pensato di lasciare il pubblico per andare nel privato, dove le opportunità non mancano di certo?
"Prima non ci pensavo. Mi sono sempre detto che avrei lavorato fino alla fine. Adesso guardo quello che succede. Se mi dicono che vado in pensione con una certa cifra... considerando che ho anche 4 figli di cui 2 all’università, faccio un po’ di ragionamenti. Ho amici in pensione che ogni tanto mi chiedevano cosa volessi fare. Io rispondevo sempre ’Ci penserò’, tanto per dire qualcosa. Invece adesso ci penso davvero: non posso far finta che non esista il probma".