
Ferruccio Mengaroni (1875-1925). Sotto, una cartolina postale pubblicitaria del 1923. In basso, la sede del laboratorio di Mengaroni visto da viale Trento
di Federico Malaventura *
Sono passati cento anni dalla morte del famoso ceramista Ferruccio Mengaroni, una vita dedita all’arte stroncata tragicamente il 13 maggio 1925 a soli quarantanove anni, durante l’allestimento per la II Biennale di Arte Decorativa nella Villa Reale di Monza. La Medusa, l’opera più importante e impegnativa cui Mengaroni si dedicò, fu posta per il trasporto da Pesaro a Milano all’interno di una robusta cassa di legno del peso di oltre dodici quintali, che disgraziatamente lo schiacciò quel mercoledì di maggio, quando si gettò per salvarla da una rovinosa caduta nel suo ultimo gesto di padre amorevole verso l’arcigna Gorgone, esalando così l’ultimo respiro tra la nobile ceramica e la balaustra che conduceva al palazzo.
Rinvenne nell’arte della maiolica il senso profondo della sua esistenza, unendo il suo temperamento, la sua creatività e una vivace intelligenza. Questo connubio diede forma a un ceramista di straordinaria abilità, poco incline alla religiosità ma curiosamente segnato da una sottile vena di superstizione, etichettato all’epoca come una figura anticonvenzionale. Nato il 4 ottobre 1875, da giovanissimo entra come apprendista nella fabbrica di Vincenzo Molaroni grazie alle pressioni del padre Romolo Mengaroni, dopo che il figlio fu bandito da tutte le scuole del regno, compresa la locale Scuola d’Arte, a causa del suo carattere focoso e irriverente, che costò un bel bernoccolo in testa a un professore per un "calamaio volante" lanciato da Ferruccio in un momento d’ardente impeto letterario.
Dopo aver lasciato definitivamente la Molaroni, istituì qualche anno dopo, nel 1915, una fabbrica in viale Trento conosciuta come S.D.A.C (Studio d’Arte Ceramico), grazie al socio e amico Aristodemo Mancini, che ampliò e trasformò in M.A.P (Maioliche Artistiche Pesaresi) nel 1920 all’interno del suo “Castiglione“, una dimora-fabbrica nello stile eclettico del primo Novecento. D’indole anarchica, ma lesto come una volpe quando l’etichetta lo richiedeva, durante la visita alla fabbrica nel 1923 di S.A.R. il principe ereditario, Umberto II, sotto ogni più rosea previsione trattò il giovane Savoia con i guanti di velluto. Ferruccio aveva anche un piccolo pallino per il falso, un passatempo emerso ufficiosamente nel 1908, che generò subbuglio tra gli storici delle più importanti istituzioni museali a livello internazionale, tanto da indurre l’organizzazione di un convegno dedicato al celebre falsario nel 1924.
Tuttavia, tale attenzione pare non abbia infastidito l’artista; anzi, probabilmente accolse l’episodio con divertimento, celando un sorriso dietro i suoi sottili baffi, all’ombra del largo e morbido cappello che lo caratterizzava. Pervaso da un senso di soddisfazione e orgoglio quasi tracotante, fu spinto a creare nuove opere, sempre più complesse, monumentali e brillanti, elevandosi verso territori inesplorati della ceramica.
Lo "stile severo" del XV secolo esercitò una notevole influenza sulla sua produzione artistica, come dimostra chiaramente il simbolo distintivo della fabbrica, costituito da un leone rampante che sorregge un ramo di melo cotogno, antico emblema araldico della famiglia Sforza, la quale governò Pesaro tra il 1445 e il 1512. Mastro Ferruccio Mengaroni da Pesaro è stato uno dei più grandi ceramisti del XX secolo, stroncato da una fine ingiusta ma altrettanto gloriosa, che a distanza di un secolo riecheggia forte e austera come un eco infinito nelle vaste vallate della memoria, trasformato in una statua di pietra dalla sua Gorgone, dove le carni diventano eterne e lo spirito immortale.
* ceramologo