Minchillo, addio guerriero: "Visse l’epopea della boxe come rivincita sociale. E non andò mai al tappeto"

Morto a 68 anni: fu campione italiano e europeo, partecipò alle Olimpiadi. Combattimenti epici, tra cui quello contro Ray Sugar Leonard .

Minchillo, addio guerriero: "Visse l’epopea della boxe come rivincita sociale. E non andò mai al tappeto"
Minchillo, addio guerriero: "Visse l’epopea della boxe come rivincita sociale. E non andò mai al tappeto"

Ha mangiato una pesca e si è sentito subito male. Poi la corsa vana al pronto soccorso. Ma il cuore aveva ceduto. La fine di Luigi Minchillo. Aveva 68 anni. L’unico ko che gli ha riservato la vita, quello che non potrà mai raccontare, alle sue compagne ed ai suoi tre figli. Perché contrariamente a quello che si racconta, Minchillo non è andato mai al tappeto, nella sua lunga carriera pugilistica, nemmeno contro Ray Sugar Leonard, l’unico pugile che può essere paragonato a Cassius Clay. "Non finì al tappeto ma appoggiò solamente un ginocchio", racconta e precisa il figlio Paolo. Era ancora dilettante Minchillo, nel 1973, quando si trovò di fronte quella leggenda della boxe. Aveva 18 anni. Poi nessuno è più riuscito a piegarlo, nemmeno Roberto Duran soprannominato mani di pietra in un epico match a Las Vegas.

L’altra notte, quando una pesca ha fatto al suo fisico quello che mille pugni non erano mai riusciti, Luigi Minchillo era appena tornato da un viaggio ‘volante’, andata e ritorno in giornata, in Puglia. Dove era nato nel 1955 a San Paolo Civitate, piccolo centro vicino Foggia. Era arrivato a Pesaro giovanissimo. E veniva da una famiglia di contadini "e quindi con quella voglia di rivincita anche sociale che poteva arrivare solamente attraverso lo sport", ricorda il figlio Paolo. Che continua: "Aveva messo tutte le sue speranze nella boxe attraverso una grande forza interiore che era la capacità di soffrire accompagnata poi da un grande carattere e da una rigida disciplina di vita. Ha lottato sempre fin da ragazzo per conquistare ogni piccola cosa".

Approdò a Pesaro all’interno della nascente epopea della boxe cittadina, con un grande allenatore come Lauro Mattioli. Uno sport che era relegato, allora, in un angolo del vecchio palas, prima che conquistasse la ribalta e il grande pubblico prendendosi il palcoscenico sportivo della città. E la prima stella, tra i vari campioni e campioncini che avevano segnato quell’epopea, era Luigi Minchillo. Che proprio al vecchio palas conquista da professionista il titolo italiano nel 1979 nella categoria superwelter, titolo lasciato vacante da un suo compagno di palestra come Damiano Lassandro. E’ l’inizio di una carriera che lo ha portato a combattere sui palcoscenici di tutto il mondo, dopo che da dilettante aveva vinto una medaglia d’oro ai giochi del Mediterraneo e quindi la partecipazione ai giochi olimpici di Montreal. Minchillo è stato oltre che campione italiano, anche campione europeo e per due volte ha combattutto per il titolo mondiale. Il primo match a Detroit contro Thomas Hearns: un combattimento-massacro, volti tumefatti e sangue che scorreva, per entrambi i pugili.

Nel 1988 lascia la boxe e viene assunto negli uffici stampa della Provincia dove tutti i suoi compagni di lavoro hanno di lui il ricordo di una persona affabile e gentile e sempre con il sorriso. Forse il pugile più popolare, Luigi Minchillo, di quella stagione d’oro della boxe pesarese, l’uomo arrivato dal sud con la fame dentro, quella voglia di aggredire la vita che lo ha portato ai livelli più alti di questo sport, scrivendo pagine che restano nella storia della boxe non solo nazionale. Lascia tre figli: oltre a Paolo, Stefania e Sabina e il suo adorato nipote Gabriel Luigi. I funerali saranno civili e si svolgeranno domani con inizio alle 15 al parco Miralfiore con esponenti della federazione boxe, di quelli che sono stati al suo fianco nei lunghi anni passati come dipendente della Provincia, dei tanti amici che aveva e degli appassionati. Una grande perdita per lo sport pesarese.

m.g.