"Mio figlio si poteva salvare: voglio la verità"

Gradara, il 18enne era stato trovato in fin di vita dalla fidanzata dopo l’assunzione di oppio. Il dolore della madre: "Troppi punti oscuri"

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"Ci sono ancora troppi punti oscuri sulla morte di mia figlio: nulla potrà mai togliermi dalla testa che si poteva salvare". Non si dà pace Valentina Minnicelli, la mamma di Mattia Epifani, il 18enne di Montescudo – Monte Colombo trovato morto il 28 agosto del 2020 nella casa della fidanzata a Gradara. Il decesso del giovane, così come confermato anche dalla consulenza tecnica disposta dalla Procura di Pesaro e affidata al professor Raffaele Giorgetti, sarebbe avvenuto per un arresto cardiorespiratorio come conseguenza dell’assunzione di oppiacei da parte del 18enne. Ci sono però, secondo la mamma di Mattia, circa due ore di buco tra la scoperta del giovane in stato di incoscienza e il momento in cui è stato chiamato il 118. Tre le persone che erano state iscritte nel registro degli indagati: si tratta della fidanzata di Epifani, per la quale era stato ipotizzato il reato di omicidio colposo, il pusher che ha venduto alla coppia la dose di 5 grammi di oppio e il padre del ragazzo, che avrebbe ceduto gratis a dei ragazzi del CBD (della cannabis ‘legale’). Le indagini nei loro confronti sono arrivate alla conclusione, preludio a eventuali richieste da parte della Procura.

Il 26 agosto del 2020 Mattia, da qualche settimana uscito dalla comunità, e la fidanzata si recano a Bologna a trovare il padre di lui. Sulla strada del ritorno, compiono una deviazione e si fermano a comprare l’oppio. La droga viene assunta quella sera stessa e anche quella successiva, tra il 27 e il 28 agosto. A quel punto la coppia va a dormire. Verso le 11 la ragazza si sarebbe svegliata "perché Mattia russava troppo forte e sarebbe andata a dormire in soggiorno". La chiamata al 118 è partita verso le 16.23 e l’ambulanza è arrivata sul posto attorno alle 16.40. Il decesso è avvenuto in seguito all’ospedale di Pesaro. "Gli elementi fin qui raccolti – dice mamma Valentina – ci fanno però presupporre che la fidanzata di Mattia si fosse accorta molto prima, cioè già attorno alle 14 se non addirittura prima, che il ragazzo stava male e non riusciva a respirare. C’è poi il mistero di una chiamata della durata di 4 minuti, partita verso le 14.22 dal cellulare di Mattia al 118, il cui contenuto non è mai stato reso noto. Perché, se già a quell’ora si era capito che mio figlio non si sentiva bene, è stato scelto di ignorare il problema? Nella chiamata successiva, avvenuta verso le 16.23, a domanda diretta dell’operatore, si nega in maniera decisa che Mattia abbia assunto stupefacenti. Se i sanitari fossero stati informati, avrebbero potuto intervenire in maniera mirata su Mattia, iniettando fiale di naloxone per contrastare gli effetti degli oppiacei, salvando così la sua vita. Restano inoltre dei dubbi sulla cronologia delle ricerche effettuate con il cellulare dalla ragazza nei giorni antecedenti: ricerche che riguardano nello specifico proprio l’assunzione di oppiacei".

"È nostra convinzione – spiega il legale che assiste la famiglia, l’avvocato Nicodemo Gentile –, e in questo riteniamo di essere supportati dalle evidenze emerse nella consulenza redatta dal professor Giorgetti, che una reazione più tempestiva e responsabile da parte delle persone che in quel momento si trovavano con Mattia, avrebbe aumentato in maniera considerevole le sue chance di sopravvivenza. Riponendo massima fiducia nel ruolo degli inquirenti, auspichiamo che questi elementi siano tenuti in debita considerazione da chi sta porta avanti l’inchiesta".

Lorenzo Muccioli