Mombaroccio e la Shoah approderanno a Cannes

Il libro del giornalista pesarese, Roberto Mazzoli, diventa documentario. Anteprima allo Sperimentale. "Dura mezz’ora: testimonianze e filmati"

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di Giorgio Guidelli

Il titolo è già un film. Prima scivolato sui tasti del pc raffinato e arguto di Roberto Mazzoli, poi diventato un documentario. ’Siamo qui, siamo vivi’ da parola a immagine. Con un’unica colonna sonora: una storia di salvezza, cuore, pietas, dolce ma non sdolcinata. Una storia che, avrebbe esclamato il cronista di ’The Paper’, celeberrima pellicola di Ron Howard, si scrive da sola. Ma che il giornalista pesarese Roberto Mazzoli ha avuto il dono di fiutare e narrare, captando le attenzioni di un regista e di un produttore che ha lavorato persino con Quentin Tarantino. Ed è così che il volume di Mazzoli ’Siamo qui, siamo vivi’ diventa documentario. L’anteprima: martedì 13 settembre, ore 21, allo Sperimentale.

Mazzoli, leggendo il suo libro sembra di stare davanti al grande schermo. Dica la verità: se lo immaginava già che sarebbe diventato film...

"No, non me l’aspettavo. Però è vero che è come se fosse un film, che ho voluto vivere fotogramma dopo fotogramma".

Ci racconti, invece, dello staff del film. Il regista, il produttore...

"Il regista è Daniele Ceccarini, è direttore del Lunigiana Cinema Festival, ha lavorato anche in Rai Storia. Il produttore è Arman Julian".

Immaginava di essere contattato?

"Il primo approccio è stato con il regista. Aveva letto il libro, si era appassionato. Aveva già lavorato su queste tematiche. La storia l’aveva emozionato, quindi mi ha chiamato. L’estate successiva alla pandemia, ad agosto, sono stato contattato da Julian. Poi ci siamo incontrati in piazza del Popolo".

Che vi siete detti?

"Ha dimostrato subito di cogliere l’essenza di questa storia. Una storia che non tramonta mai. Con valori universali. Lui ha proposto subito di fare un film. E ha voluto subito conoscere la famiglia Sarano, visitare i luoghi, il convento, i frati. Ora ha deciso di produrre il documentario".

Dopo l’anteprima, che giro farà il documentario?

"A Cannes, Toronto, Amsterdam. Un po’ in tutto il settore".

Durata?

"Circa mezz’ora, forse breve per come lo intendiamo noi. Ma il regista mi ha spiegato che questo è lo standard di tempo".

Le immagini?

"Alcuni filmati arrivano dall’Istituto Luce, poi ci sono tante foto".

Ci sono testimonianze?

"Certo. Quelle delle sorelle Sarano e di tanti altri, compresi i testimoni di Mombaroccio. Spicca il contributo di Liliana Segre".

Dediche?

"Un pensiero speciale: per Vittoria Sarano, venuta a mancare l’anno scorso. Credo che da lassù sia felice di questo documentario".