Non di solo business vive l’uomo In azienda entra lo spiritual coach

Padre Natale Brescianini, monaco benedettino camaldolese all’Eremo di Monte Giove, tiene corsi per manager e lavoratori: "Le competenze non bastano. Bisogna recuperare un orizzonte più profondo"

Migration

di Benedetta Iacomucci

Che i mercanti debbano stare fuori dal tempio, è qualcosa che nessuno si azzarderebbe a mettere in discussione. Ma che il sacro non possa entrare in azienda, nessuno l’ha mai detto. San Benedetto, d’altronde, sulla regola ’ora et labora’ ha costruito le basi della cultura occidentale. Insomma, spiritualità e business non sono poi due mondi così distanti, ma farli dialogare non sempre è un processo spontaneo: ad accompagnare questo incontro è padre Natale Brescianini, 51 anni non ancora compiuti, monaco benedettino camaldolese all’interno dell’eremo fanese di Monte Giove. E’ lì che domani padre Natale insieme ad altri prestigiosi partner terrà un seminario organizzato dalla Liuc business school sul lavoro virtuale e le nuove sfide manageriali.

Padre Brescianini, la chiamano spiritual coach.

"In verità non mi piace molto questa definizione. Preferisco ‘padre spirituale’, che per noi monaci non è niente di nuovo".

Spiritualità e business. Davvero possono comunicare?

"Sono mondi più vicini di quanto non si pensi: riguardano entrambi l’essere umano. Se vanno ognuno per la propria strada si perde l’orizzonte più profondo e non resta che la pura materialità".

Magari qualcuno riserva la spiritualità ad altri ambiti.

"Certo, ma il lavoro è una parte importante nella vita della persona. Spesso occupa più spazio di qualunque altra cosa, anche della famiglia".

E quindi qual è il metodo?

"Si parla tanto oggi nelle aziende di ‘mettere la persona al centro’. Va benissimo, ma preoccupiamoci anche di avere delle persone ‘centrate’. Possiamo avere persone organizzatissime sul lavoro, ma totalmente fuori fase. Come cogliere questa centratura? Io condivido la mia prospettiva di monaco, dicendo: ‘Rileggiamo il motto benedettino, Ora et labora’. Al centro c’è un’idea di essere umano come corpo, mente e spirito. Cerchiamo di recuperarla".

Altrimenti che succede?

"Pensiamo al fenomeno delle grandi dimissioni, soprattutto dopo la pandemia. Sono fenomeni dovuti alla perdita di una dimensione di senso. Le competenze non bastano: senza le relazioni, la gestione dei conflitti, salta tutto".

E il profitto?

"E’ importantissimo, certo. Anche il mio Eremo chiuderebbe senza profitti".

Propone esercizi spirituali?

"Solo piccoli gesti. Ad esempio, prima di iniziare una giornata, proviamo a spegnere la radio e domandarci: che viaggio inizio oggi? Oppure la sera, al rientro: che cosa ho fatto? Insomma, fermarsi a riflettere 5 minuti".

Ma lei ha mai lavorato?

"Sono entrato in seminario a Brescia, la ma città, a 12 anni. A 25 sono entrato in monastero. Nel 2003, dopo la professione solenne, sono stato in California, dove abbiamo due monasteri. E una volta tornato ho chiesto di mettermi in gioco nel mondo del lavoro. Ho lavorato due anni in una azienda nel veronese che si occupava di controllo satellitare per mezzi in movimento. Non sapendo fare nulla, mi occupavo un po’ di tutto. Un giorno entrai una libreria di Verona e vidi un volume che sembrava lì per me: ‘L’organizzazione perfetta. La regola di San Benedetto. Una saggezza antica al servizio dell’impresa moderna’. Lo lessi e chiamai l’autore, Massimo Folador. Collaboriamo da allora, sono quasi 15 anni".

Quali aziende la ingaggiano?

"Aziende in tutta Italia. Anche banche, ospedali. E una grossa multinazionale americana".

Ma si presenta in abiti da monaco?

"Diciamo che quando ci sono convention, per fare un po’ di scena, sì. E’ uno di quei casi in cui l’abito fa il monaco".