"Non va bene l’area industriale di Talacchio: verrebbe stravolta"

Andrea Ricci, ex consigliere comunale: "La Piana andrebbe rilanciata. Se lasciata andare in degrado, sale il pericolo amianto"

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E’ vero che la Piana di Talacchio sia in degrado o resiste, senza infamia e senza lode, al difficile momento economico? Qualora dovessero, nell’area di ampliamento, realizzarvi il biodigestore da 100mila tonnellate di rifiuti organici, potature e ramaglie sarebbe una opportunità di sviluppo o un deterioramento per il tessuto produttivo già presente? Andrea Ricci, originario di Talacchio ed ex consigliere comunale di Colbordolo, è convinto che "sarebbe come dare una mazzata finale ad un’area in degrado". In che senso? "La renderebbe meno appetibile di quanto non lo sia già ora". Perché? "Secondo me – spiega Ricci – bisognerebbe fare il punto sulla necessità indubbia di ammodernamento dell’esistente e riflettere sull’ampliamento. E chiedersi se un impianto del genere possa non snaturare o deprimere lo sviluppo delle attività attorno. Chiedersi se la viabilità, realizzata su un progetto ormai datato, potrebbe reggere".

Perché datato?

"La zona industriale venne pensata alla fine degli anni ’60 da don Giovanni Lupi, parroco di Talacchio, chiamato ad amministrare anche il lascito testamentario dell’Opera Pia Famiglia Balestrieri. La comunità di allora costruii la zona pensandola come un antidoto allo spopolamento. Creare occupazione, dare lavoro alle famiglie che abitano attorno fu lo spirito con cui vennero costruiti capannoni adeguati ad ospitare realtà artigianali. Negli anni l’area è stata strategica per il distretto del mobile. Quindi giusto lo sviluppo, ma è anche giusto chiedersi quale impatto potrebbe procurare la realizzazione di un impianto molto grande rispetto al resto. Rischiamo che diventi una cattedrale con più nulla intorno o lascerà che l’area di ampliamento sviluppi nella sua interezza?". Da ex consigliere comunale di Colbordolo, uno degli ultimi atti che ha votato in Consiglio comunale nel 2013 fu proprio la edificabilità delle zone T6 e T7 di ampliamento. "Ci mancava pure che non lo facessimo – osserva Ricci –. Quando l’economia tirava negli anni ’90 decisero che sarebbe stato giusto ampliare la zona industriale. Per arrivare alla valutazione di impatto ambientale ci sono voluti 20 anni, con l’iter terminato nel 2013. Di fatto è stata una opportunità mai consentita, si sono perse occasioni importanti di aziende che avrebbero voluto investire nel territorio per ritardi burocratici e l’inerzia delle amministrazioni di allora. Oggi è trascurata. Nel giro di 600 metri ci sono capannoni mai bonificati a seguito di incidenti (leggi incendi) che li hanno devastati. Posso capire. Mi chiedo se non ci si debba concentrare sul trovare finanziamenti che agevolino i privati nell’attività di ammodernamento per riqualificare il costruito. Si tratta di 70 ettari la cui totalità dei capannoni ha tetti in eternit. Ammodernare i capannoni vorrebbe dire evitare per esempio il degrado dei rivestimenti in amianto e quindi evitare un grosso problema di smaltimento. Mi sembrano tematiche di valenza pubblica: discutere e confrontarsi sulle problematiche che interessano tutti dovrebbe essere normale. Vallefoglia è una città che se vuole essere tale non soltanto nel nome, dovrebbe evolvere anche nella capacità di confronto e dialogo con e tra i cittadini".