Omicidio Gradara oggi, il giudice: "Cangini ha ucciso la moglie con una ferocia inaudita"

Le motivazioni della condanna di Vito Cangini per l’omicidio di Nataliya: "Gelosia? No, alla base dell’omicidio ci sono gli stereotipi di genere"

Nataliya Kyrychok, 61enne ucraina, vittima del marito

Nataliya Kyrychok, 61enne ucraina, vittima del marito

Gradara (Pesaro), 23 giugno 2022 - "Nataliya uccisa con una ferocia inaudita, un barbaro eccidio di particolare efferatezza". In una parola: "Un femminicidio" che ha avuto il suo movente non nella gelosia, ma in profonde radici culturali di uno "stereotipo di genere basato sul dominio del maschio eterosessuale, o alfa, sulla donna, il quale, se sente che quella fusione è in pericolo, allora scatta la violenza". Quella perdita di dominio che Vito Cangini deve aver avvertito anche la notte di Natale dello scorso anno quando, "il mancato mantenimento della promessa della moglie di concedersi sessualmente" ha scatenato in lui quella furia omicida. Sono questi alcuni passaggi delle 50 pagine delle motivazioni appena depositate dalla Corte d’Assise di Pesaro (presidente Giuseppe Fanuli, a latere Maurizio Di Palma) a fondamento della condanna a 24 anni di carcere inflitta a Cangini, l’81enne originario di Sarsina, residente a Gradara, reo confesso dell’omicidio della moglie, Nataliya Kyrychok, 61enne ucraina, cuoca in un ristorante di Misano Adriatico. Cangini (difeso dagli avvocati Fiorenzo e Alberto Alessi) ha ucciso la donna nella camera da letto della loro abitazione, con 11 fendenti inferti con un coltello da cucina. Sospettava che la moglie, con la quale era sposato da 17 anni, lo tradisse con il suo titolare.

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Il pm Giovanni Narbone aveva chiesto 24 anni per omicidio volontario aggravato dal vincolo coniugale e dai motivi abietti e futili legati alla gelosia. La Corte ha accolto la richiesta, ma escluso la seconda aggravante. "Una condotta particolarmente violenta – si legge – Cangini ha continuato a colpire insensibile di fronte alla donna che cercava disperatamente di difendersi, senza considerare gli atti successivi: non ha tentato alcun soccorso, ha dormito col cadavere e la mattina ha svolto le ordinarie azioni quotidiane con la precauzione di chiudere la porta della camera per non vedere la scena, si è quasi vendicato col presunto rivale telefonando al titolare della moglie per dirgli che l’aveva uccisa".

Sull’aggravante caduta, la Corte ha escluso "il movente della gelosia patologica" – come sostenuto dalla procura – ma ha parlato di "uno stereotipo di genere, un problema di carattere culturale e che sta alle radici dell’educazione. Non è stato un dolo d’impeto, sarebbe come ridurre tutto all’atto finale". È come se "l’educazione sentimentale del maschio fosse ancora improntata nella relazione con la donna, a un’aspettativa da un lato di dominio e dall’altro di fusione con la propria partner". E "in tale ottica – spiega la Corte – è difficile non cogliere la natura del femminicidio nel delitto commesso dal Cangini".