Omicidio Malipiero Pesaro, le foto dell’autopsia proiettate in aula

Il corpo martoriato di Sabrina. Safri: non sono un mostro

L’agente mostra i due coltelli all’anatomopatologo

L’agente mostra i due coltelli all’anatomopatologo

Pesaro, 7 maggio 2019 - Massacrata di botte e coltellate inferte con una violenza brutale e incontenibile. Undici fendenti a cui Sabrina Malipiero ha potuto opporre solo una minima difesa. A raccontare l’orrore di cui è stata vittima la 52enne commessa pesarese sono state le foto shock dell’autopsia proiettate ieri mattina sulla parete della Corte d’Assise.

Immagini che il medico legale Adriano Tagliabracci ha spiegato, cercando di ricostruire così la dinamica dell’omicidio. Una ricostruzione a cui ha assistito la sorella di Sabrina, presente in aula anche ieri, con il volto rigato dalle lacrime.

Per undici volte, dunque, l’assassino si è accanito su Sabrina. Nove lesioni da punta e taglio tra collo, capo, torace e addome. Due da taglio sul palmo della mano sinistra. «Tipiche lesioni, queste ultime, di chi cerca di difendersi dai colpi o di afferrare l’arma», spiega Tagliabracci.

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Ma l’aggressione mortale alla donna è cominciata con le botte. L’omicida, Safri per i pm Giovanni Narbone e Silvia Cecchi, l’ha colpita agli occhi, le ha fratturato il naso e buttato giù due incisivi. Come? «Con pugni, ma forse anche con corpi contundenti o sbattendole il capo sul pavimento o altre superfici», ipotizza il medico legale. Ma dopo averla ridotta a una maschera di sangue, l’omicida non si è fermato. È passato alle lame. Due i coltelli usati, secondo l’accusa.

Uno a punta tronca e uno a punta acuta. Il primo è quello che, probabilmente, era sul piattino in cui c’era la cocaina consumata poco prima da Sabrina. Usato per colpirla vicino alla giugulare. Una punta poco lesiva. Così l’assassino ha optato per una lama affilata. E con quella ha infierito su Sabrina, arrivando ad affondare il coltello fino a 11 centimetri. Un colpo perfora la pleura del polmone destro, un altro recide trachea ed esofago.

"Abbiamo trovato 350 cc di sangue nella cavità toracica. Ma ne è uscito tanto da tutte le altre lesioni", continua Tagliabracci. Sabrina viene trascinata agonizzante. Muore poco dopo dissanguata. È in posizione fetale. Quasi come un ultimo disperato tentativo di proteggersi. L’assassino le infila la cannuccia per sniffare tra le dita. E le dita, per la precisione, il dna ritrovato sotto l’indice della mano sinistra e il terzo e quarto della mano destra, è una delle prove che inchioderebbe Safri. C’è un profilo maschile (quello ypsilon) che risulta essere di Safri.

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«Ma lei mi accarezzava sempre la testa, lo ha fatto anche quel giorno» si giustifica Safri. Che sembra essere tradito anche dalla voce, quella che si sente nel sottofondo di un sms vocale che la  Malipiero invia alle 15.27 a una collega. «È compatibile - spiega un consulente della Scientifica - con una frequenza maschile». Dei 28 reperti raccolti dalla polizia, fa parte anche l’impronta palmare sulla parete. La firma dell’assassino lasciata sul sangue sulla parete della camera da letto dove è stata uccisa Sabrina, su cui è finita una goccia di sangue, segno che c’era una colluttazione in corso. E anche quella traccia è di Safri. «Ci sono 22 punti di corrispondenza – spiega l’esperto dattiloscopico – il minimo di legge sono 16 punti. Qui siamo ben sopra la soglia».