Omicidio Pesaro, l'altra tesi. "Marcello Bruzzese non voleva uscire dalla protezione"

I familiari smentiscono Salvini. Interrogata la vedova

Il luogo dell'omicidio (Fotoprint)

Il luogo dell'omicidio (Fotoprint)

Pesaro, 29 dicembre 2018 - Nessuno in famiglia sapeva. E per questo non credono alle parole di Salvini. La vedova di Marcello Bruzzese ma anche il fratello Girolamo, collaboratore di giustizia, hanno dichiarato agli inquirenti di non aver mai appreso di un’ipotetica richiesta di revoca della protezione (VIDEO) da parte del congiunto ucciso la sera di Natale in via Bovio a Pesaro, richiesta che addirittura risalirebbe a 2 anni e mezzo fa.

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Non ne sa nulla nemmeno il loro difensore, l’avvocato Giuseppe Tripepi di Reggio Calabria: «Ho ascoltato e letto le parole del ministro Salvini che svelava questo fatto e sono rimasto sorpreso di questa richiesta di revoca della protezione. I Bruzzese non me ne avevano mai parlato né ho preparato atti o pratiche da inviare agli uffici competenti del ministero degli Interni per avviare l’iter. In ipotesi, la stessa persona può prendere l’iniziativa ma occorrono i nulla osta della procura competente per la cosiddetta capitalizzazione, il calcolo della liquidazione che non è mai semplice. Sono sorpreso, anche perché non credo che Marcello avesse un lavoro». 

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Nelle ore successive all’agguato, gli stessi familiari e il fratello Girolamo, collaboratore di giustizia, hanno accusato lo Stato di averli abbandonati, lasciandogli senza protezione. Un atto di accusa preciso e documentato visto che la famiglia di Marcello Bruzzese, dopo esser stata in Sardegna diversi anni, in particolare dal 2003 al 2008, con un cognome diverso, era stata trasferita a Pesaro col cognome vero. Una scelta che aveva sorpreso ma era stata accettata dalla famiglia, la quale rimaneva stabilmente inserita nel programma di protezione che garantiva loro una casa e uno stipendio, intorno ai 2000 euro al mese.

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Da allora, Marcello Bruzzese non ha mai lavorato stabilmente, iscrivendosi alla scuola serale dell’istituto Benelli per tecnico energetico e frequentando anche un corso di assistente sanitario, provando a fare esperienza in una struttura per anziani, seppur per un breve periodo. Poi, un paio di anni fa, ha preso la strada per la Francia, passando per la Corsica, dove avrebbe avuto interessi lavorativi con dei parenti. Ma i soldi a casa, stando alle stesse dichiarazioni che avrebbe rilasciato la moglie, erano pochi per tre figli e non potevano nemmeno lontanamente permettersi di rinunciare al sussidio dello Stato attraverso il programma di protezione. 

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Dei suoi viaggi in Francia erano a conoscenza al Viminale? Probabilmente no, perché a svelare agli stessi inquirenti l’esistenza di questi viaggi è stata la vedova visto che non risultava in nessun atto. Per farli, Bruzzese avrebbe dovuto chiedere un permesso, un obbligo che sarebbe rimasto anche in caso di rinuncia alla protezione perché le famiglie sotto minaccia non possono rinunciare mai ad una forma di tutela da parte dello Stato. 

La richiesta di revoca non risulterebbe nemmeno alla procura della Repubblica di Pesaro, che ha interrogato tutti i familiari della vittima, interpellando anche gli uffici adibiti alla protezione dei Bruzzese. Una ipotetica domanda di revoca della misura protettiva che avrebbe dovuto presumibilmente avere anche la firma della moglie ma lei, a quanto pare, non ne sapeva nulla. Ora la vedova ha chiesto di non esser trasferita da Pesaro come prassi in questi casi impone: «Non fuggo più. Rimango qui insieme ai miei figli». Ma l’altro ieri, per dare l’ultimo saluto alla salma del coniuge all’obitorio, è stata scortata da un drappello di 8 carabinieri armati di mitraglietta.