Omicidio San Lorenzo in campo. L’intercettazione: "L’ho impacchettato, stava buono buono"

Parole di Nino Deluca, uno dei quattro arrestati per il feroce delitto. Gli ‘errori’ della banda

Sesto Grilli e la sua casa, dove è stato trovato morto (Fotoprint)

Sesto Grilli e la sua casa, dove è stato trovato morto (Fotoprint)

San Lorenzo in Campo (Pesaro Urbino), 4 maggio 2019 - Il gip li accusa di omicidio volontario (video). In altre parole, Nino Deluca, il fratellastro Franco e gli amici Massimiliano Caiazza e Dante Lanza, hanno voluto deliberatamente ammazzare Sesto Grilli e non solo rapinarlo. Forse perché aveva riconosciuto qualcuno, come Nino Deluca che aveva già visto in passato. Altrimenti, dice il Gip, avrebbero potuto depredare la casa dell’anziano in via Roncaglia Bassa 68 a San Lorenzo in Campo già dal pomeriggio quando sono arrivati alla porta dell’abitazione senza trovare il pensionato. Sarebbe stato facilissimo, già buio, entrare, rovistare, cercare i soldi che sapevano esserci e andarsene. Invece hanno voluto che Sesto ci fosse tanto da chiamarlo come se fosse un’impellenza. E lui ha risposto solo alle 2.30 circa dicendo presumibilmente sì, vi aspetto, venite. Che cosa lo ha spinto a fidarsi?

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Indagini (Fotoprint)

Le ipotesi sono diverse e l’ordinanza di custodia cautelare non le affronta tutte. Ne privilegia una: la richiesta di un prestito seppur a quell'ora di notte, visto che il padre dei Deluca lo aveva contattato nei giorni precedenti per questo. Ma può essere plausibile? E’ certo che gli assassini del 74enne non sapevano dove fossero i soldi, perché nel seminterrato dove si trovava la cassaforte non ci sono nemmeno entrati. La porta era chiusa. Le uniche tracce di Dna sono quelle di Lanza e di Franco Deluca. Sono state lasciate intorno al nastro adesivo ma a questo non ci hanno pensato. Si sono preoccupati invece, prima di fuggire dopo aver constatato di aver ucciso il pensionato, di portarsi dietro il cordless e di strappare via la cornetta del telefono fisso come per cancellare le tracce del loro dna. Una mossa sconclusionata, forse in preda al panico. Poi la fuga, quasi sicuramente a mani vuote perché i soldi erano per la maggior parte in cassaforte.

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Ma ecco che, a pochi giorni dalla scoperta del delitto, gli altri passi falsi della banda. Comincia Nino Deluca che, sapendo bene di aver chiamato Grilli per tutta la giornata di sabato 16 fino a notte inoltrata, intuisce di essere tra i primi nel mirino. Così vende il suo cellulare, cerca anche di vendere la Citroen C3 della compaggna, non chiama più i suoi due complici di Bologna, e poi fa una telefonata ad un carabiniere che conosceva ai tempi della sua residenza a San Lorenzo in Campo, dicendogli che lui teme di finire nei guai perché quel giorno aveva chiamato Grilli come amico di famiglia in quanto voleva un prestito «ma io non c’entro niente». Pensava forse di ‘chiarire’ tutto così invece apre da quel momento un’autostrada per l’inchiesta. Da quel momento, lui, il fratellastro, i due compari di Bologna vengono seguiti ed intercettati. In una conversazione di 15 giorni dopo il delitto, quando già la Citroen C3 era stata riempita di cimici dai carabinieri, Nino Deluca dice ad un cugino: «...l’ho impacchettato... è stato lì buono buono...». Per i carabinieri, se non è un elemento di prova inequivocabile è qualcosa che gli assomiglia molto.