Choc a Urbino, morto il giudice Paolo Cigliola. Aveva salvato il tribunale

Stroncato da un infarto all'età di 52 anni

Il giudice Paolo Cigliola

Il giudice Paolo Cigliola

Urbino, 16 aprile 2018 - E’ morto ieri pomeriggio il giudice Paolo Cigliola, magistrato scrupoloso e umano, persona modesta e sensibile, massimo artefice della salvezza del Tribunale di Urbino nel luglio del 2013. La notizia in città, tra amici, colleghi magistrati e avvocati, si è diffusa repentina gettando nello sconforto tutti coloro che lo conoscevano. Nato Taranto, Paolo Cigliola aveva appena 52 anni: ieri, attorno alle 15, è stato stroncato da un infarto, nella sua casa a Trasanni dove si trovava con la moglie; è stato chiamato il 118, il personale medico ha tentato la rianimazione ma non è stato possibile salvarlo. Una morte totalmente inattesa perché solo venerdì il giudice aveva tenuto udienze e sabato aveva parlato con colleghi, con la sua immancabile disponibilità.

Paolo Cigliola, da 20 anni ormai ad Urbino, in più di un’occasione aveva ricoperto il ruolo di presidente facente funzioni del Tribunale, era un magistrato di indubbie capacità e preparazione professionale, ma era anche un uomo sensibile, attento e pronto a cogliere le esigenze delle persone e delle istituzioni con cui aveva a che fare: nessuno potrà mai dimenticare che fu proprio lui, nel gennaio del 2013, a dare una vera svolta alla battaglia che avvocati, politici, Comune, Università stavano intraprendendo per salvare il Tribunale dalla soppressione prevista dalla riforma portata avanti dal Ministero della Giustizia, in base al Decreto 155/2012 e alla legge delega del 2011.

Cigliola, che allora era presidente facente funzioni, dovendo rinviare un processo in data successiva a quella prevista per la chiusura del Palazzo di Giustizia, emanò un’ordinanza che rimandava alla Corte Costituzionale la decisione sulla illegittimità del Decreto e della legge delega, che non considerava la condizione di Urbino come città capoluogo di Provincia: la Corte fissò l’udienza e il ricorso di Urbino fu l’unico ad essere accolto in Italia. La notizia della salvezza arrivò la sera del 3 luglio e l’indomani mattina, il tribunale era pieno di avvocati, dipendenti e magistrati che festeggiavano: Paolo Cigliola, schivo e modesto come sempre, non voleva nemmeno che gli si attribuisse qualche merito. Allora registrammo le sue parole: «La mia ordinanza era poco più che un atto d’amore per Urbino alla quale sono sinceramente legato e anche debitore, però questa è una vittoria soprattutto dell’Ordine degli avvocati hanno sostenuto il giudizio di legittimità costituzionale e che più in generale hanno sostenuto una battaglia titanica. C’è stato un impegno a tutti i livelli, sia politico, sia amministrativo, sia giudiziario. Il fatto che sia stato accolto il ricorso che veniva da un piccolo ordine degli avvocati, un piccolo tribunale, se vogliamo anche da un piccolo giudice, è sicuramente una grande lezione di democrazia che deve inspirare in tutti fiducia nelle istituzioni in generale e nella effettiva tutela dei propri diritti».

Il “piccolo giudice”, come si era lui stesso definito, non perse mai di vista gli interessi del Tribunale di Urbino neppure dopo quella vittoria: Cigliola, sempre con pacatezza ma anche determinazione, continuò a sollecitare l’attenzione sul Tribunale, sulle carenze di personale tra i magistrati e negli uffici. Impossibile anche dimenticare, la fierezza espressa ogni volta che Urbino rientrò nelle classifiche del Ministero per l’efficienza, un risultato che per Cigliola era da dividere con tutto il gruppo di lavoro. Cigliola lascia la moglie Bernadette, i genitori, la sorella Valeria, i cognati. Ancora da fissare la data del funerale.