Paolo Giovanelli morto di Covid: era il barbiere storico di Pesaro

Giovanelli, barbiere storico, è morto ieri. Il contagio a dicembre. I famigliari: "Ci diceva: è un virus cattivo, noi dobbiamo esserlo di più"

Paolo Giovanelli, i funerali domani, alle 15,30, al porto

Paolo Giovanelli, i funerali domani, alle 15,30, al porto

Pesaro, 17 febbraio 2021 - Ha lottato come un leone, fino alla fine. Senza mai perdere fiducia nella vita, anche durante la malattia. Paolo Giovanelli, 81 anni, barbiere nell’anima ("Sono nato barbiere e voglio morire barbiere", aveva dichiarato un anno fa al Carlino), si era ammalato di Covid il 29 dicembre scorso e ieri mattina, intorno alle 9,30, è morto all’ospedale di Pesaro. Un uomo dal cuore grande, stimato e conosciuto in tutta la città. A 13 anni faceva già le prime barbe e il 24 dicembre 2019 aveva deciso di chiudere il suo storico salone di via Cecchi. Era arrivato, per Giovanelli, il momento di riposare. Lui che non aveva paura di niente, sempre attento nel dare la forza agli altri, anche nei momenti più difficili. Dopo essersi ammalato, la sua famiglia contattò subito il dottor Maniscalco. Assieme a lui decise di attivare la cura per il Covid. Al quale Giovanelli risultò positivo il 31 dicembre, subito dopo aver fatto il tampone. L’uomo venne ricoverato il 7 gennaio, nel reparto Infettivi di Muraglia. In un primo momento, le sue condizioni non sembravano gravi, ma nel giro di un giorno e mezzo peggiorò e fu trasferito in terapia intensiva. Qui, "il babbo venne curato in maniera eccelsa, per due settimane - racconta la figlia Carmen -, poi il suo fisico iniziò a non rispondere più. Il 25 gennaio peggiorò ulteriormente e i medici furono costretti ad intubarlo. Da quel giorno, iniziò una dolorosa discesa". Giovanelli, sotto le cui mani erano passate le teste di migliaia di pesaresi, non smise mai di dare la forza ai suoi famigliari, nemmeno dal letto d’ospedale: "Finché era sveglio, ci telefonava sempre, tre volte al giorno - confida la figlia - , lui si preoccupava sempre per noi e ci dava la forza, anche se allettato. La stessa che dava agli altri pazienti, come mi rivelò un giorno un’infermiera. Diceva sempre che il virus era ignorante, ma noi dovevamo esserlo ancora di più. Il babbo ha dimostrato davvero un attaccamento commovente alla vita, fino alla fine. E’ come se avesse voluto, in un certo senso, accompagnarci e prepararci alla sua morte". Una famiglia unita, quella del barbiere. Abitava a Pantano, in una casa indipendente, assieme alla moglie Mirella, alla figlia Carmen e al marito, con i nipoti Matteo e Luca, di 23 e 18 anni, affezionatissimi al nonno. "Era davvero molto grato ai medici e agli infermieri - rivela ancora la figlia -, ai quali si era affidato ciecamente. Non voleva essere un paziente difficile per loro, eppure furono i dottori stessi a dirci che, al contrario, il babbo era un paziente modello. Ringrazio, anche a suo nome, tutto il reparto di terapia intensiva e il primario Michele Tempesta. E ancora, il dottor Francesco Mazzanti, che ha preso a cuore mio padre sin dall’inizio. Lui stesso, ogni volta che lo chiamavo, mi diceva ‘qui mi vogliono tutti bene’. Concludeva sempre così la nostra telefonata". I funerali si terranno domani, giovedì 18 febbraio, alle 15,30, nella Chiesa di Santa Maria del Porto.