Bertini
Sarebbe stata la più grande rievocazione di storia cittadina dei tempi moderni: dopo 29 anni la Vuelle torna a giocare sul terreno di viale dei Partigiani, il Piave e il Carso, Caporetto e Vittorio Veneto del basket pesarese. C’era solo un dilemma profondo: avrebbe dovuto essere una serata di gala con tutti in "dress code", signore in lungo, mostrina biancorossa al petto, posa di una corona commemorativa nel punto del parquet dove nel maggio radioso del 1988 Magnifico "uccise" Mike D’Antoni: te sta giù per terra che lo scudetto è nostro! Oppure sarebbe stato meglio una bella "caciara" all’antica con casino epico sui gradoni oggi diventati seggiolini da pinguino, con un rombante e travolgente "C’è solo un capitano!", in 5.000 quando i posti ufficiali erano 4.000, coi ragazzini senza biglietto che come lepri entrano e scompaiono fra i meandri dell’hangar, con la famiglia Scavolini ricollocata a sedere nel pezzo di tribuna che fu casa sua per oltre venti campionati, con concessione anche a una punta di sentimento antico, le note di "Lisbona antica" che accompagnavano l’ingresso in campo della squadra negli anni Cinquanta. E invece la Vuelle, come il ragazzo della via Gluck di Celentano, "torna e non trova la sua prima casa", là dove c’era il campo cosa c’è non si sa. Ma cosa avete fatto, fratelli amministratori? Vi siete cacciati da soli con la testa in un sacco e il destino beffardo ve ne sta dando esemplare dimostrazione e riprova. Tornare anche per una sola volta a giocare su quel terreno che prima fu cemento, poi gomma e infine parquet; seduti su quei gradoni prima di legno poi di cemento, messi di traverso come nelle sculture egizie, avrebbe fatto capire meglio e una volta per tutte ai giocatori stranieri e forestieri che cose si intende per orgoglio pesarese. Peccato? Di più, peccato mortale!