Per la fame si mangiava il pane di ghianda

Poco più di un secolo fa, freddo, neve e scarsità di cibo portavano a tumulti e rivolte. Nell’entroterra ci si difendeva come si poteva

Per la fame si mangiava il pane di ghianda

Per la fame si mangiava il pane di ghianda

di Amedeo Pisciolini

La stagione invernale oltre ai disagi che comporta, per il maltempo, la neve, le piogge e gli smottamenti è tutto sommato affrontabile oggigiorno. In altri tempi per le stesse situazioni, si avevano conseguenze ben peggiori.

A raccontarcele è Edmondo Luchetti, noto studioso di storia locale, che da Serravalle di Carda volge sempre lo sguardo indietro nel tempo: "Difficilmente oggi con l’abbondanza di ogni ben di dio che si ha in tutte le case, immaginare qualcuno che per fame arrivi a sfidare l’esercito, commettere reati, oppure a mangiare il pane di ghiande. Certamente nei secoli passati non erano infrequenti carestie, penuria di generi alimentari e fame, quindi nelle città, ma anche nei piccoli centri, avvenivano anche piccole sommosse popolari. Famosi i moti di Milano del 1898 dovuti soprattutto al rincaro del prezzo del pane, con morti e feriti e dove venne impiegato l’esercito; le proteste si fecero sentire in tutta Italia, scioperi e tumulti si contarono a decine in Sicilia, Campania, Marche eccetera. Per tutto l’800 ma ancora anche nei primi anni del ‘900, la situazione alimentare non era certo paragonabile a quella odierna". Luchetti continua con tanto di documenti che raccontano in maniera esplicita come si viveva.

"Il 1816 fu un anno tremendo, definito l’anno senza estate, per rimanere nel nostro contesto gli amministratori del comune di Carda ci fanno conoscere che: “...in quest’anno particolarmente carestoso, ci fu tanta penuria di cibi che gli abitanti di questo territorio furono costretti a cibarsi di erbaggi silvestri, senza verun condimento, a guisa di animali selvatici...“. Nel 1879 il Regio Prefetto di Pesaro e Urbino dirama una circolare a tutti i sindaci per conoscere le condizioni di vita delle classi agricole, che tolti nobili ed ecclesiastici, erano la maggioranza della popolazione".

"Il sindaco di Apecchio risponde che “...i coloni si nutrono di granturco, orzo e ghianda, vestono tessuti di lana in inverno e di lino e canapa in estate, calzano zoccoli di legno in inverno e scalzi d’estate...“. Le informazioni su quel periodo sono molto interessanti. Ancora nel 1881 – dice Luchetti – il sindaco Collesi di Apecchio scrive al Brigadiere comandante la stazione dei Reali Carabinieri di Piobbico, dicendo che “...il furto della ghianda che si esercita su vasta scala, da luogo a continui reclami, per cui occorre procedere con qualche azione energica...“. La gente, specie le classi più povere, per potersi sfamare era costretta a rubare ghiande per poi ridurle a farina e farci del pane, che risultava oltremodo di pessima qualità e indigesto".

Arriviamo nel ’900, il secolo che abbiamo abbandonato da soli 23 anni. "Nel gennaio del 1906 il sindaco di Piobbico Virginio Bartolucci si ritrova a dover risolvere dei seri problemi di ordine pubblico. Il 16 gennaio convoca d’urgenza la Giunta Municipale e informa gli assessori Eugenio Bischi, Eugenio e Pio Scipioni, che la popolazione minaccia tumulti di piazza per “difetto di generi alimentari“. Davvero una gran fonte di preoccupazione per gli amministratori pubblici, che oggi hanno altri tipi di problemi da risolvere ma non certo quello della fame dei propri cittadini. Quindi la Giunta per evitare disordini e problemi di ordine pubblico, prende contatti con il signor Domenico Michelini-Tocci, benestante possidente terriero del luogo, per l’immediato acquisto di grano e granturco, accettando i prezzi richiesti dal momento che il sindaco non ha potuto avere condizioni migliori. Attesa dunque l’urgenza, la Giunta autorizza l’acquisto di 100 quintali di grano a lire 25,50 il quintale e di 125 quintali di granturco a lire 16 il quintale. Il Municipio per venire incontro alle richieste della popolazione, decide di ridistribuire il grano a lire 25 e il granturco a lire 15. Il tutto è approvato dalla Prefettura. Risolta al momento la minaccia di tumulti, restava ora per il Comune da risolvere il problema finanziario, in quanto a bilancio la spesa non era coperta".

Far quadrare i conti in effetti è l’esercizio che i sindaci dell’entroterra non hanno mai abbandonato. "Il sindaco Bartolucci il 21 marzo – continua Luchetti – decide di scrivere una lettera al Ministro dell’Interno per chiedere un sussidio, dicendo “nel crudo inverno, fra queste montagne sempre coperte di neve, questa povera popolazione per lo scarso raccolto e per la mancanza d’ogni lavoro, sarebbe perita d’inedia se il Municipio non avesse in qualche maniera provveduto... ond’è che questa giunta anche per evitare eventuali disordini acquistava grano e formentone che poneva a disposizione del pubblico...". Della questione era stato interessato anche il deputato cagliese Angelo Celli, che il 26 aprile 1906 riceveva dal Sottosegretario di Stato del Ministero dell’Interno una lettera che comunicava “...mi è gradito parteciparti che, aderendo alle tue premure, ho disposto la concessione di un sussidio di lire 200 a favore dei poveri bisognosi di Piobbico“. Se il Comune doveva risolvere questo tipo di problemi del quotidiano vivere, al contempo riceveva anche altri tipi di lagnanze che ci indicano il comune sentire del concetto di ordine e di autorità di quei tempi, distanti anni luce dal nostro. E’ il caso del maestro Giuseppe Rinaldini, indiscussa autorità morale di Piobbico, nominato maestro elementare dal consiglio comunale nel 1855 quando ancora esisteva lo Stato Pontificio e in consiglio sedevano come membri di diritto due preti. Rinaldini scrive alla Giunta Comunale lamentandosi che “fanciulli e ragazzacci, in tempo di neve, nella festa specialmente si fanno lecito di lanciare quasi a bersaglio, palle di neve alle povere donne che entrano od escono dalle chiese per le sacre funzioni... tanta è la temerarietà di certi fanciullacci“. Il severo maestro invocava il controllo delle guardie municipali e dei Reali Carabinieri per la sorveglianza e punizione. Come possiamo vedere da questi documenti di poco più di un secolo fa – conclude Luchetti – veniamo a sapere di un sistema di vita, di metodi educativi e di una società che a fatica riusciamo a capire o riconoscere".