Pesaro, il prefetto: “Tutelo profughi e ordine pubblico”

“Attenti a chi fotografa stranieri”. Fa discutere il diktat di Luigi Pizzi

Il prefetto di Pesaro Luigi Pizzi

Il prefetto di Pesaro Luigi Pizzi

Pesaro, 16 ottobre 2017 - “Ho il dovere di tutelare l’ordine pubblico, dando disposizioni alle forze di polizia. Se il singolo cittadino nota persone o comportamenti che ritiene possano rappresentare un pericolo per la sicurezza è tenuto a chiamare il 112 o il 113, non a intervenire direttamente, perché non ha la legittimità a farlo”. Lo dice il prefetto di Pesaro e Urbino, Luigi Pizzi, il giorno dopo che la questione legata alla ormai famosa circolare è diventata un caso nazionale.

Pizzi chiedeva ai vertici delle forze dell’ordine di reprimere “assolutamente” quei due comportamenti capaci secondo lui di creare possibili “turbative dell’ordine pubblico” nella periferia di Pesaro, cioè i quartieri di Borgo Santa Maria e Pozzo alto, in cui la tensione tra residenti e profughi era già alta. I due comportamenti da reprimere erano: uno, i residenti che fanno le foto ai migranti, ad esempio mentre questi cercano nei cassoni dell’immondizia; due, gli stessi residenti che chiedono, in situazioni di sospetto, le generalità ai migranti che non conoscono.

C’era poi una seconda obiezione, cui ieri il prefetto ha dato una prima risposta. Era quella di chi, ad esempio dei legali, gli facevano notare che fare foto in pubblico o in luogo aperto al pubblico, non implica nessuna, come sostiene lui nella circolare, “palese violazione della vigente normativa sulla tutela della privacy”. Ha risposto ieri Pizzi a questo proposito: “Si tratta di interpretazioni del diritto, su cui valuterà eventualmente la magistratura”.

La questione resta comunque calda, nei due qartieri in questione, dove ieri alcune tv nazionali hanno intervistato i residenti. Spiega ad esempio don Giorgio Paolini, da oltre venti anni alla guida della parrocchia di Borgo Santa Maria: “Fare una foto a un profugo che non si comporta bene, anche se non compie reati, non direi che è un’azione sbagliata. Se c’è un problema, è giusto documentarlo, può essere un modo per risolverlo, perché chiudere gli occhi? Il problema principale, che abbiamo qui, con i richiedenti asilo, è che sono troppi, e che sono stati portati qui senza preparare la gente, che quindi se li ritrova col rischio che qualcuno non li accetti. Per questo è decisivo coinvolgere la comunità. La paura è un sentimento che si supera con la conoscenza. Bisogna puntare sull’integrazione. Che qui però è stata fatta troppo poco”.