Pesaro-Urbino, due capoluoghi uniti dal nulla

Franco

Bertini

Detto in maniera forfettaria, in economia il concetto di utilità marginale misura l’importanza di un bene in situazioni estreme. Per dire, una cosa è percorrere la strada Montelabbatese in un luminoso pomeriggio di sole, un’altra è andarci in una notte buia e senza luce. Dico la Montelabbatese perché costituisce un tratto dell’itinerario stradale che unisce le due città capoluogo della nostra provincia, Pesaro e Urbino: trentacinque chilometri di infinita distanza rafforzata da secoli di divisione e di modi di pensare diversi mai scalfiti da nessuna concezione politica unitaria e, se non cosmopolita, almeno con una visione condivisa del territorio. Da Pesaro in Urbino ci si va ancora come quando negli anni Quaranta del 1900 ci saliva il magnifico rettore Carlo Bo piangendo, oppure come ci andavano in carrozza i nobili antichi salendo e discendendo: "Partito da Urbino alle hore 13 del giorno di San Giovanni, harrivato in Pesaro nella notte con chiarore della fiaccole...", scrive nel suo "Diario" il duca Francesco Maria II Della Rovere. Su quella stessa strada, qualche giorno fa, sono tornato da Urbino fra le ore 19 e le ore 20 sotto un tempo da lupi e anche da orsi, buio pesto, pioggia battente, vento sferzante, foschia, le condizioni estreme per capire se stai percorrendo una vera strada oppure ti stai azzardando su una carovaniera che scende a valle. Visto e giudicato asetticamente secondo il concetto di utilità marginale, il tratto da località Trasanni a Urbino grida vendetta davanti a Dio e agli uomini: nessuna linea di mezzeria, nessun riga laterale o segnale rifrangente a segnalare i bordi della strada. Avanti con giudizio telemetrando sui fari di quelli davanti e quelli in direzione opposta. Nulla da ridire se quei chilometri collegassero due centri montani dei Tatra. Invece costituiscono il principale collegamenti fra due città capoluogo di provincia, una delle quali è anche patrimonio dell’Unesco. Poi ci lamentiamo che scoppia il Covid.