"Portavo i telegrammi, annunciavo gioie o dolori"

Le Poste festeggiano i 160 anni dalla fondazione: i ricordi di Pietro Giunta, l’ultimo portalettere: "In 17 anni di servizio ho consumato quattro motorini"

Migration

di Alessio Zaffini

Portalettere o procaccia: due nomi per indicare il tanto atteso postino, l’impiegato delle poste addetto al recapito della corrispondenza a domicilio. Quest’anno, le Poste compiono 160 anni: successivamente all’unità d’Italia, per parafrasare Garibaldi, bisognava "fare gli italiani", e chi meglio dei portalettere poteva incaricarsi di questo onore?

Nella nostra città, infatti, vi fu un grande via vai di lettere, cartoline e telegrammi che hanno aiutato la comunicazione tra Nord e Sud, dall’Adriatico al Tirreno, grazie anche all’imponente struttura del Palazzo delle Poste, costruito attraverso la ristrutturazione dell’antica chiesa di San Domenico. che si affaccia piazza del Popolo, vide, nel corso dei secoli, susseguirsi molti eventi, culminati nel crollo del dormitorio inserito nel complesso monastico, nel 1607. La ristrutturazione venne completata molto più tardi e, nel 1844, iniziarono i lavori di costruzione di un nuovo progetto: quello che avrebbe visto nascere il Palazzo delle Poste.

Il postino è da subito una figura molto ricercata, quasi leggendaria: deve saper leggere, scrivere e conoscere un po’ di francese, la lingua parlata dai Savoia. Col passare del tempo, il portalettere ha subito sempre più variazioni e differenziazioni, arrivando a creare un ruolo che ora non esiste più: il fattorino.

"Il mio lavoro era quello di consegnare i telegrammi nelle sei zone di recapito in cui era divisa Pesaro – racconta Pietro Giunta, ex fattorino ed ora portalettere –. Eravamo 12 ragazzi, tutti giovani. La giornata era divisa in due turni: dalle 8 alle 14 e dalle 14 alle 20. Sapevamo che bisognava iniziare a correre quando si sentiva un rumore sordo di plastica che sbatteva; vuol dire che era arrivato un telegramma. Entro un’ora andava recapitato e noi ’volavamo’ sopra i nostri motorini, anche per 5 o 6 volte ad ogni turno. In 17 anni di servizio ho dovuto cambiare ben quattro motorini, dei quali l’ultimo con 90 mila chilometri. Sono stato l’ultimo fattorino di Pesaro, fino al 2002, quando questo mestiere è andato in pensione e sostituito dal computer, smartphone e messaggi. Mi è capitato di consegnare molti telegrammi, specialmente per matrimoni e funerali: ogni giorno vedevo risate e festeggiamenti, ma anche molti pianti ed abbracci. Ora è tutto più distaccato e freddo: noi, che eravamo giovani, facendo questo mestiere ci rendevamo conto di come la vita non fosse uguale per tutti".