"Questi nostri sedici anni tra pandemia e guerra"

Pubblichiamo il tema, valutato con un 10, di Alessia Megna, pesarese, studentessa che frequenta il secondo anno del liceo artistico Mengaroni

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Febbraio 2020. Venezia. Sono in vacanza. Si respira, si respira aria pulita, senza barriere. E’ tutto così normale. Frase di cui ora non conosco più il significato. ’Normalità‘ parola sconosciuta ai nostri cuori. Avevo quasi 14 anni. Quattro giorni dopo iniziai a vedere l’inizio della fine, la fine di quegli anni, quelli che mi dicevano essere i migliori. Edizione straordinaria del TG, i primi contagi, le notizie andavano più veloci del tempo. Si chiudono le scuole per due settimane per contenere la pandemia e fare accertamenti. Evviva non si va a scuola! Ma poi iniziano le restrizioni, i primi morti, allora i sorrisi sparirono ma ci dicevano ’Andrà tutto bene‘. Ma quelle due settimane non furono solo due.

Ora ho 16 anni. Non ne siamo ancora usciti ma forse stiamo iniziando a vedere la luce alla fine del tunnel. Un tunnel da cui ora però passano carri amati e blindati. Spari e bombardamenti più vicini a noi di quanto si creda. Le stazioni delle città del nostro paese non fanno passare treni, ma carichi di guerra per le esercitazioni. È un nemico forte, molto più grande di noi forse il doppio o il triplo. Qui non si fa in tempo a trovare uno spiraglio di luce e di speranza per un problema che a coprire la luce ce ne troviamo un altro. In questi anni ci hanno tolto tanto, forse tutto, anche il respiro. Siamo stati costretti a stare chiusi nelle quattro mura di una casa che piano piano diventava sempre più grigia e soffocante.

Siamo la generazione di mezzo, quella che si ricorderà di tutto questo per più tempo. Si può ammettere che ci sia servito da lezione perché si capisce l’importanza delle cose, anche piccole e solo quando le si perdono. Abbiamo imparato a non dare per scontato niente. Ma proprio non capisco che lezione sia vedere persone rifugiarsi nelle stazioni, piangere alla vista delle loro case cadere, alla vista di una vita crollare. Non capisco che lezione sia veder morire qualcuno, sentire una mamma che racconta a sua figlia una storia, forse credibile di dove sia il suo papà. La pace è un sentimento da custodire, non si coltiva da sola, serve la civiltà e il rispetto a farla restare in vita una volta conquistata. Questa non è pace. Ora siamo solo punto a capo e ce lo ricorderemo. Ricorderemo i timpani piangenti e dolenti della gente e terremo memoria del soffocante dolore a cui ha fatto spazio il cuore. Non so quanto potrà essere difficile dimenticare questa volta. Non ci resta che sperare che la mente tenera dei bambini sia abbastanza clemente da non far ricordare tutto questo.

Credo che l’unica frase che io possa dire è che siamo troppo giovani per tutto questo ma il mondo sembra fregarsene. Io ammetto di non vivere per la scuola, ma la vita è una scuola. Lezioni imparate a memoria senza un apparente motivo, perché ora mi trovo a pensare ai professori di storia, che hanno sempre difeso a spada tratta, in modo assolutamente umile la loro materia con la frase “studiamo la storia per non ripetere gli errori del passato”. Ma qui stiamo andando a ritroso in un mare aperto fatto di errori. Perché qui fanno la guerra per fare la pace; allora credo che qualcuno ci debba fare compagnia nei banchi di scuola. A volte penso a quando i nostri figli forse, o i nostri nipoti studieranno tutto questo, chiedendoci testimonianze, come noi abbiamo fato e continuiamo a fare con i nostri nonni. Ed è lì che sentiremo affievolire i ricordi e il dolore, con solo una lacrima a colorare il viso, sperando solo che ci abbia reso più forti e non solo più insicuri come siamo ora.

Alessia Megna

studentessa II anno

liceo Mengaroni